Zombificazioni, Inner space & Black Summer

Zombificazioni, Inner space & Black Summer

Se
-è vero che dai film horror, i mostri che li abitano e i perturbanti che animano, si può trarre una qualche metafora sulla vita e sul mondo-
e se
-il mostro preferito, più di successo, da una ipotizzata fine della Guerra fredda a oggi è lo zombi-
+
– “The only modern myth is the myth of zombie” Anti-Oedipus Deleuze Guattari-

allora è giusto provare a estrarre segni e intercettare tendenze in Black Summer, Netflix.

Intanto l’ambientazione iniziale. Come in Dawn of the Dead (Snyder, 2004) l’azione comincia in un’area residenziale suburbana, i suburbs, luogo topico di Ballard e concetto prodotto dalle misure di protezione civile della Guerra fredda: popolazione lontana dai centri cittadini, industrie dislocate fuori dai grandi centri di produzione delle metropoli quindi lontane dagli obiettivi sovietici.
In Black Summer una sirena, antiaerea forse, risuona in tutto il vicinato. Dalle case monofamiliari con garage cominciano a uscire persone, famiglie soprattutto. La normalità dell’ambientazione è turbata dalla corsa di queste persone, dall’assenza di distruzione alle proprietà. I danni più evidenti sono gomme sgonfie e auto, Suv e pick-up parcheggiati eppure chiaramente abbandonati.
Il “fiume umano”, titolo del primo episodio infatti, va a piedi, vive in case che non sono loro. E’ composto da profughi che ancora forse non sanno di esserlo proprio come le auto posteggiate sono in realtà abbandonate, un residuo fantasmatico di un mondo che non sa di essere morto. Le famiglie corrono fino a un qualche check point militare. Il fiume umano viene riordinato, messo in fila, tenuto protetto e allo stesso tempo sotto tiro di armi automatiche. I “profughi interni” vengono controllati. I soldati, probabilmente Guardia Nazionale, controllano gli occhi, la salute generale e i documenti. I profughi sono americani eppure i documenti vengono controllati. I soldati controllano anche che i profughi non abbiano armi. E’ chiaramente uno stato d’emergenza proclamato e il Secondo emendamento sospeso. L’accesso ai campi della FEMA è consentito solo a civili disarmati, in occasione dell’uragano Katrina armi e munizioni vennero confiscate non senza resistenza da parte di civili e law enforcer locali. In questo punto di raccolta c’è un piccolo, immediato paradosso: i soldati controllano che i civili non abbiano armi con sé e la domanda sul perché non abbiano armi, fatta da un militare a uno dei personaggi, rimane lì a suggerire una ulteriore crepa nel tessuto della realtà: come è possibile non avere armi con “quello che sta succedendo”. Nessuno ha armi anche se dovrebbero averle.
In qualche modo il fiume umano dei profughi sono già zombie, sono un esempio di caduta dallo status di umani, zombificati senza essere (ancora) stati contagiati. Alcuni riescono a salire sul camion della Guardia Nazionale e altri no. Famiglie vengono separate, alcuni profughi sono feriti e forse infetti, nessuno ha portato armi, bambini vengono allontanati dai genitori e spediti verso uno stadio. E la parola stadio richiama, evoca, il Superdome di New Orleans del mondo-tempolinea reale, durante Katrina.

L’elemento ambientale è ancora in background ma “fuoriesce” subito. Non è uno spettro ma è la polvere su tutti i personaggi e le auto e che invade supermercati e negozi saccheggiati.
Sappiamo dai primissimi episodi di Z Nation, la serie principale di cui BS non è che il prequel, che l'”Estate nera” è il periodo di gravissima siccità che ha avvolto il momento in cui il primo focolaio di virus zombie è esploso. Il virus Z di questa serie è chiaramente tra i più potenti e letali della storia dello zombie come rischio catastrofico globale eppure gli sceneggiatori chiariscono: quello che state vedendo, il crollo di tutte le finzioni -denaro, giustizia, progresso, civiltà- non è il prodotto del virus. Il 90 per cento della popolazione muore nel catastrofico convergere di clima eccezionale, scelte emergenziali e strategiche sbagliate, società e sistemi fragili che non hanno retto la doppia novità del riscaldamento globale e del virus Z, due mostri che impazzano nello stesso momento, nella stessa estate, insieme, in una coincidenza che è impossibile.
La devastante siccità -mondiale?-, una megadrought , prodotto del riscaldamento globale, deve aver evocato un altro Civilization Killer nella forma del virus ZN1. Nella serie si scopre, al contrario che in The Walking Dead e nella saga romeriana attuale, che il virus Z è un bioingegnerizzato. Non sappiamo se per uso militare, come il famoso ma diverso Trixie, o proprio come Great Leveler in un pianeta che si riscalda su modelli sempre più devastanti e non sostenibili per la vita umana.
Questo è un trope che ritorna in altre saghe, serie, tradizioni e che è diventato trasversale, a fiction, non fiction e IRL, una dialettica dell’estinzione. Black Summer però merita attenzione più nelle sue deviazioni da questo canone estinzionista ed è un’attenzione che deve essere immediata ovvero visiva.

Digressione se possibile-
Ne Il seme della follia (John Carpenter, 1994) l’investigatore privato John Trent assiste a omicidi brutali, suicidi, sparizioni impossibili, follia epidemica, sguardi sull’inferno, un continuo assottigliarsi e sbandare della separazione essenziale tra fiction e “realtà” eppure crolla, impazzisce, la sua mente cede non di fronte alla certezza che Sutter Cane è in commercio con creature eldritiche e altre divinità anti umane ma quando è il suo demone cartesiano che viene invaso e cede, stabilendo una volta per tutte che nessuna fuga, rimedio, violenza è possibile per contrastare il perturbante.
John Trent si sveglia su un pullman, vede il suo mondo diventato azzurro, che Sutter Cane può manipolare la sua capacità di vedere la realtà e il mondo e a quel punto non resta che gridare e impazzire.

C’è qualcosa di strano nella scala dei grigi in questa Black Summer. 
Le prime azioni si svolgono all’aperto, in pieno giorno, sotto un sole che batte ma in cui la luce appare deviata, malata e fredda, velenosa forse, come sicuramente lo è l’aria che porta un’infezione. In questa luce “strana” ci sono ovunque, fondamentalmente, pochi esseri umani. Quelli che ancora lì si muovono, nei quartieri suburbani, nelle scuole evacuate, in villette che non sono le loro, incapaci di comunicare, stranieri, muti in una lotta che non sembra una per la sopravvivenza ma piuttosto l’agitazione e il desiderio di non essere, da vivi stessi, che gli spettri di essere umani in una realtà che appare conosciuta e riconoscibile eppure perturbata, nei dettagli. Una macchina brucia e i personaggi rimangono a guardarla, in cerca di qualcosa di strano. Il sospetto di essere nel sogno di essere vivi è in ogni scena. Non è soltanto la luce l’indizio di questo stato meridiano in cui si svolge la serie.

I morti sono tra i più pericolosi mai visti nel canone dello zombie non mutato per velocità o intelligenza. Sono infatti estremamente coriacei, difficili da uccidere. Rientrano in una tendenza generale del genere: con il passare degli anni lo zombie romeriano è stato abbandonato per un infetto più veloce, resistente. Questa tendenza però non spiega questa resistenza di questi zombie.
L’avvertimento che qualcosa di strano sta succedendo, oltre l’apocalisse zombie e il collasso sociale, è nella luce di quello che è diventato un pianeta ostile, nella scelta della fotografia. Qualcosa di weird confonde la visione di personaggi e spettatori. Chiarezza e lucidità sono difficili da ottenere. Serve una visione chiara per eliminare uno zombie. Ed è qualcosa nel foro interiore dei personaggi, una deviazione nell’Inner space che impedisce, anche al sopravvissuto ormai temprato, che sembra ormai fuori dal percentile della vittima, di essere efficace nella lotta.
Questo panico grigio emerge nella sua potenza “necrofera” nell’episodio finale.
Le armi da fuoco sono inefficaci, sopravvissuti, survivalisti, soldati, civili armati fino ai denti, calati in uno scenario che sembra un videogioco ma in realtà è come un sogno dove le pallottole, mirare, colpire, sono soggette a una volontà esterna inaffidabile.
Tutta la stagione è una corsa di una madre verso uno stadio, trasformato in campo profughi. Il finale provvede a uno stadio e definisce: questa non è un’invasione zombie, è crollo della realtà.
Contro questo avversario isolamento, armi, survivalismo individuale da lupo solitario o di comunità sono assolutamente inutili.

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