#1 Scienziate, filosofe e studiose dell’Antropocene e le loro opere

Annie Rehill, The Apocalypse is Everywhere. A Popular History of America’s Favorite Nightmare
ABC-CLIO 2009
Abstract:
Questo saggio esplora in modo trasversale e diacronico la visione dell’apocalisse nella cultura occidentale cercando di capire come siamo diventati così preoccupati delle visioni spettacolari del
nostro annientamento. Nel libro sono presenti illustrazioni che mostrano la diffusa credenza nell’apocalisse nel corso del tempo: dai disegni medievali alle fotografie contemporanee alle immagini dei film. Inoltre offre un’ampia bibliografia in ambito storico, letterario, antropologico, teologico.
Qualche frammento del saggio:
Apocalisse. La semplice parola evoca immagini di peste e morte orribile. La maggior parte degli americani oggi capisce che significa totale annientamento, o uno scontro finale tra il bene e il male. Ma questa è solo una parte della storia che Giovanni racconta nel Libro dell’Apocalisse, spesso chiamato l’Apocalisse. In questo libro, esploreremo le sue continue manifestazioni nella cultura popolare e approfondiremo lo sfondo.
Periodicamente, è stato detto non appartenere legittimamente alla Bibbia, ma l’Apocalisse è sopravvissuta sia nei canoni cattolici che in quelli protestanti. Insieme al cristianesimo e alla cultura europea, ha viaggiato in America ed è stato con noi da allora in più modi di quanto possiamo immaginare. L’Apocalisse biblica è stata tramandata come un gene psicologico attraverso i millenni e continua a trovare espressione in luoghi spesso sorprendenti.
Una svolta decisiva avvenne quando il periodo medievale europeo si fonde con il Rinascimento. Nel 1516, lo studioso olandese Desiderius Erasmus si chiese se il Libro dell’Apocalisse dovesse essere effettivamente incluso nella Bibbia. Saggiamente non ha insistito abbastanza per essere perseguitato. La Chiesa mantenne la sua Apocalisse e le nozioni chiliastiche continuarono a propagarsi. E se Erasmus avesse vinto la sua tesi? In che modo la nostra visione del mondo oggi sarebbe diversa?
Gli esempi di influenze apocalittiche nella cultura popolare abbondano. Indipendentemente dai nostri sentimenti personali nei confronti della religione in generale e del cristianesimo in particolare, questo filone della cultura americana è profondamente radicato e attraversa la nostra storia. Probabilmente non svanirà presto.
Quando notiamo riflessioni qua e là del Libro dell’Apocalisse, possiamo vedere non solo i cataclismi, ma anche una visione della nostra condizione umana. Possiamo, come David Dark e molti altri pensatori, vedere il libro in un modo che ci ispira piuttosto che speculare sulla fine dei tempi, se un tale fenomeno dovesse mai verificarsi.
Come creature con una consapevolezza della nostra stessa esistenza e una coscienza sempre in discussione, meditare sul cosmo e sulla nostra stessa mortalità ci riempie di stupore e terrore. La natura dell’universo ci confonde e il paradigma paradiso-inferno è solo una delle numerose spiegazioni che sono state offerte nel corso dei millenni. Anche se l’autore dell’ Apocalisse riteneva che il Giorno del Giudizio fosse un evento imminente, nel suo libro non possiamo vedere una conclusione letterale e sconvolgente e un nuovo inizio, ma un ritratto delle nostre menti complesse.
Senza sapere cosa succede a queste menti dopo la morte, possiamo concentrarci su possibilità trascendenti che non possiamo vedere ma che possiamo percepire. In tal modo, possiamo immaginare più chiaramente il potenziale in costante rinnovamento delle nostre connessioni interiori con l’eterno, qualunque sia la sua natura.
Nota biografica:
Annie Rehill è Ph.D. in Studi moderni francesi. Si occupa di letteratura, cultura e storia del Canada francese e francofono, del popolo Métis, dei Caraibi francofoni e della Francia.

Ruth M.J.Byrne , The Rational Imagination. How People Create Alternatives to Reality

MIT, 2005

Abstract:

L’immaginazione umana rimane uno degli ultimi terreni inesplorati della mente. Le persone spesso immaginano come gli eventi si sarebbero rivelati “se solo” qualcosa fosse stato diverso. Le “linee di faglia” della realtà, quegli aspetti più facilmente cambiati, indicano che i pensieri controfattuali sono guidati dagli stessi principi dei pensieri razionali. In passato, razionalità e immaginazione sono state viste come opposti. Ma la ricerca ha dimostrato che il pensiero razionale è più fantasioso di quanto supponessero gli scienziati cognitivi. In The Rational Imagination, l’autrice sostiene che il pensiero immaginativo è più razionale di quanto gli scienziati abbiano immaginato. Le persone tendono a immaginare alternative alle azioni piuttosto che inazioni, eventi sotto il loro controllo piuttosto che quelli al di fuori del loro controllo ed eventi socialmente inaccettabili piuttosto che quelli accettabili. I loro pensieri su come un evento potrebbe risultare diversamente li portano a giudicare l’esistenza di una forte relazione causale tra un evento precedente e il risultato. In una semplice sequenza temporale, le persone tendono a immaginare alternative all’evento più recente. L’affermazione centrale del libro è che i pensieri controfattuali sono organizzati secondo gli stessi principi del pensiero razionale. L’idea che l’immaginazione controfattuale sia razionale dipende da tre fasi: 1) gli umani sono capaci di pensiero razionale; 2) fanno inferenze pensando alle possibilità;  3) i loro pensieri controfattuali si basano sul pensare alle possibilità, proprio come fanno i pensieri razionali. I tipi di possibilità che le persone immaginano spiegano la mutabilità di alcuni aspetti delle rappresentazioni mentali e l’immutabilità di altri aspetti.

Nota biografica:

Ruth M.J.Byrne è professore di Scienze cognitive presso il Trinity College di Dublino. Fra le sue pubblicazioni: Deduction (1991), Human reasoning ( 1993).

Donna Haraway, Staiyng with the Trouble. Making Kin in the Chthulucene

Duke, 2016

Abstract:

Nel mezzo della spirale della devastazione ecologica, la teorica femminista multispecie dell’autrice fornisce nuove modalità per riconfigurare le nostre relazioni con la terra e tutti i suoi abitanti. Evita di definire la nostra epoca attuale Antropocene, preferendo concettualizzarla come ciò che lei chiama il Chululucene, in quanto descrive in modo più appropriato e completo il nostro tempo come quello in cui l’uomo e il non umano sono indissolubilmente legati in “pratiche tentacolari”. Il Chthulucene  richiede sym-poiesis, piuttosto che auto-poiesis. Imparare a sapersi destreggiare nelle grandi difficoltà  che sottendono la vita, insieme ad altri (umani, non umani), immersi in una terra danneggiata, favorirebbe lo sviluppo di quel tipo di pensiero che porta alla costruzione di mezzi adatti a costruire un futuro più vivibile.

Un frammento del saggio:

Le epoche confuse strabordano di dolore e gioia – con schemi di gioia e dolore estremamente ingiusti, uniti alla superflua uccisione della continuità ma anche a una necessaria rinascita. L’obiettivo è fare kinlungo linee di connessione creative per imparare a vivere e morire bene insieme gli uni con gli altri in un presente ottuso. Il nostro obiettivo è generare disordine (trouble), sollevare una potente reazione di fronte a eventi devastanti, e allo stesso tempo placare acque turbolente e ricostruire luoghi tranquilli. In un’epoca che non lascia tregua, molti di noi sono tentati di affrontare il disordine cercando di rendere sicuro un futuro immaginario, di arrestare l’accadere di qualcosa che incombe sul futuro, di ripulire il presente e il passato così da poter creare dei futuri per le generazioni a venire. Rimanere con il disordine non rende necessario questo tipo di relazione con le epoche che chiamiamo futuro. Rimanere con il disordine significa infatti essere presenti, non come un perno evanescente che oscilla tra passati orrendi o paradisiaci e futuri apocalittici o salvifici, ma come creature mortali intrecciate in miriadi di configurazioni non finite di luoghi, tempi, materie, significati. Chthulucene è  la combinazione di due radici greche (Khthôn e kainos) che insieme denominano una tipologia di spazio-tempo per imparare a stare con il disordine  del vivere e con la capacità di reagire  su una terra ormai danneggiata. Kainos significa adesso, l’epoca degli inizi, un’epoca per la continuità, per l’energia. Nulla nel kainos deve significare passati, presenti o futuri convenzionali. Non vi è nulla, nelle epoche in cui le cose cominciano, che si prodighi per spazzare via tutto ciò che è venuto prima o, per l’appunto, per spazzare via ciò che ancora potrebbe essere. Kainos può essere saturo di eredità, di memorie, e di cose a venire, del prendersi cura di ciò che potrebbe accadere. Ascoltando kainos sento una presenza densa, continua, riempita da ife che le infondono ogni tipo di temporalità e materialità. Quelli ctoni sono esseri della terra, sono antichi, ma anche nuovissimi. Immagino ctoni pieni di tentacoli, antenne, dita, fili, code di lucertola, zampe di ragno e peli estremamente ribelli. Gli ctoni giocano vivacemente nell’humus pieno di piccole creature, ma non entrano mai in contatto con gli Homo che guardano il cielo. Quelli ctoni sono mostri nel miglior senso possibile; mostrano e rappresentano l’eloquenza materiale dei processi e delle creature della terra. Ne mostrano e rappresentano anche le conseguenze. Gli ctoni non sono al sicuro; non hanno alcuna connessione con gli ideologi; non appartengono a nessuno; si agitano e si deliziano in una miriade di forme e con una miriade di nomi in tutte le arie, acque e in tutti i luoghi della terra. Fanno e disfano; sono fatti e disfatti. Sono coloro che sono. Non ci si stupisce pensando che i grandi monoteismi del mondo, che fossero religiosi o laici, abbiano provato più e più volte a distruggere gli ctoni. Le scandalose epoche chiamate Antropocene e Capitalocene sono l’ultima e più pericolosa versione di queste forze sterminatrici. Vivere-con e morire-con gli altri in modo potente nello Chthulucene può essere una risposta agguerrita ai dettami dell’Anthropos e del Capitale.

Kin è una categoria selvaggia che ogni tipologia di persona cerca in qualche modo di addomesticare.

Nota biografica:

Donna Haraway è una filosofa americana, professore emerito presso l’università Santa Cruz della California. Ha insegnato Teoria femminista e Storia della scienza e della tecnologia. È l’autrice di A Cyborg Manifesto (1984).

Laura Isgrò, autrice di questa rubrica per La Grande Estinzione

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