La peste di Jack

Jack London. La domanda è: come mai chi lavora con certi immaginari immancabilmente è affascinato, oppure ossessionato, da una serie di temi? Evidentemente sono tutti collegati fra loro, comunicano in maniera sotterranea, si alimentano a vicenda. I temi sono:

Selvatico.
La vita non addomesticata, gli animali liberi nel loro ambiente, il contrasto tra selvaggio e civilizzato…

Natura estrema.
Solitamente si traduce in mare, montagne, poli, deserto…

Storia Profonda.
La fascinazione per quella che viene chiamata preistoria ma non solo, per il percorso di tutta la storia umana, futuro compreso.

Estinzione.
Forse in una visione allargata della storia umana è inevitabile considerare, oltre all’inizio, anche la fine, che coincide spesso con un collasso il più delle volte provocato dagli stessi umani.

Sicuramente ce ne sono anche altri, ma Jack London è senza dubbio un campione di questi temi, ovvio ricordare i romanzi e i racconti in cui i protagonisti sono animali, meno ovvio guardare a Prima di Adamo, ambientato nel Pleistocene e a quell’ineguagliabile scorribanda temporale che è Il vagabondo delle stelle, dove il protagonista, rinchiuso in una prigione, spazia nella storia umana a suo piacimento.

Ma anche l’Estinzione evidentemente premeva dentro l’animo di Jack. Nel 1912 fa uscire su The London Magazine un breve romanzo, The Scarlet Plague, in cui immagina una pestilenza che annienta l’umanità lasciando pochi superstiti. Siamo nel 2073, uno dei superstiti racconta il mondo di prima a un gruppo di giovani che non l’hanno conosciuto, la morte scarlatta è arrivata sessant’anni prima e il mondo è ora com’era prima della civiltà. Il  vecchio viene deriso dai ragazzi che stentano a credere ai suoi racconti, tranne uno dei suoi nipoti che lo invita a continuare, a descrivere cosa è successo, perché l’umanità è finita e come. L’immaginazione di Jack arriva non solo ai dettagli, ma anche a descrivere come nel mondo nuovo tutto è più semplificato, a cominciare dal linguaggio, i ragazzi non comprendono le sue parole, non accettano che lui definisca quella morte come scarlatta e non semplicemente rossa.

Non so se Jack conoscesse The Purple Cloud di Matthew Phipps Shiel, uscito in Inghilterra nel 1901, certo è che, almeno da Poe in poi, per tutto il Novecento la morte di massa ha sfumature di rosso, con buona pace di Erika Leonard. Noto che nella visione di Shiel, oltre all’estinzione dell’umanità, compare il tema del Polo. Pare che The Scarlet Plague abbia influenzato Cormac McCarthy che propone invece un immaginario in cui il rosso lascia la scena alla polvere, a un’assenza di colori, una progressiva desaturazione della visione, più in linea con l’onnipresenza della Bibbia negli autori americani, dove la corrispondenza fra umani e polvere è evidente.

Ho trovato un’edizione del 1928 de La peste scarlatta nascosta fra inutili libri contemporanei in offerta in una vecchia libreria di Bologna. Uno di quei libri in cui al lettore è concesso di separare le pagine con un tagliacarte. Chi l’aveva fatto era stato piuttosto maldestro e alcune pagine erano e sono tutt’ora ancora unite. Ero emozionato. A ognuno i suoi entusiasmi. Ho poi scoperto che era la prima edizione italiana. Due euro per l’estinzione di Jack.

MC

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