Breve aggiornamento sul #ProgettoTINA. 90 microromanzi, molti lo sono in un’accezione forte e decisa, su 106 già consegnati e completi. Altri 13 sono in consegna nei prossimi giorni e già in questo weekend. I numeri parlano da soli di una partecipazione massiccia. Fosse stata una festa sarebbe una già riuscita e affollata.
Ora è in elaborazione una lista di scenari futuri. Saranno scelti, definiti e fondati con criteri più stringenti di quelli che compongono la lista già pubblicata. E’ necessaria una particolare premura, speriamo prossima a quella che praticano saggisti e scienziati, nella compilazione e definizione proprio per evitare derive catastrofiste, voli di fantasia distaccati dal fattuale, sbandamenti su generi e desideri neri.
Il progetto TINA è alcune cose: -un esercizio di scrittura creativa -un investigare la realtà -un’eziologia dei flussi informativi rilevanti.
TINA è un lavoro preparatorio. Il Romanzo dell’Antropocene è cosmogonico e di scenari. TINA è un addestramento, per un obiettivo critico e strategico. Qualche accenno su come è stata composta adesso è d’obbligo.
Divago adesso rimanendo sullo stesso flusso che è unico ma permeabile all’analisi.

Una serie di film, docu-fiction e libri, sulla crisi finanziaria dei prodotti derivati del 2007-2008. Le caratteristiche della crisi sono, soltanto in parte secondo me, quelle di un Cigno nero, che viene infatti spesso citato. Un altro evento viene citato, massicciamente, ed è la Grande depressione del 1929. La Borsa di New York crolla, provoca un’epidemia di disoccupati e senzatetto, migrazioni interne enormi. Lo spettro del viandante disoccupato è quello che fa fermare dallo sceriffo John Rambo, è quello che fa impugnare un fucile a Emily Blunt in Looper. L’evento Grande Depressione ha una sua memoria nel flusso immaginifico della fiction.

Ne scrive Dos Passos, ne parlano banchieri e personaggi per convincere il segretario al Tesoro Henry Paulson, già CEO di Goldman Sachs, a salvare le banche d’affari per evitare il collasso dell’economia mondiale. I banchieri parlano di apocalisse, una più brutale perché più veloce. Un 1929 peggiore, uno in cui i bancomat smettono di sputare banconote e il commercio mondiale collassa.
Non credo che manager, trader, consulenti non parlino del Collasso dell’Età del bronzo quando particolarmente brillanti alle feste. Ci sono tanti motivi tattici e retorici poi per leggere The Big money di Dos Passos. Il collasso economico è un mostro che muove fiction e decisioni al massimo livello IRL. Del resto è sempre una narrazione, la più efficace, scomodando Kermode o meno.
Ora un altro esempio.

Questo Beating back the Devil (2004) è una non fiction scritta da Maryn McKenna (sta sulla copertina). Racconta la storia dell’EIS ovvero Epidemic Intelligence Service del CDC. E’ una storia sul campo, le investigazioni sull’origine, ancora eziologia, di epidemie della storia recente. Il terzo capitolo tratta del virus del Nilo. Non comincia con un viaggio esotico o con una puntura di zanzara ma con un incidente stradale e una donazione d’organi. Qui interrompo la lettura.

Il seguito della storia potrebbe essere scontato, non lo è, l’indicazione nello svolgimento è però chiara: il virus viene trasmesso ad altri attraverso gli organi donati. Non dovrebbe succedere, è successo, succede. Il sottotesto del libro è uno che ha forte il senso della scienza come lotta, tentativo, intuizione. Come storia testata sui fatti e che si migliora con lo scorrere di eventi e scenari immaginati. La scena, di cronaca, non mi risulta nuova e non lo è. Max Brooks in World War Z, una storia orale dell’apocalisse zombi. Una serie di racconti, testimonianze, di sopravvissuti. Uno di loro racconta di un focolaio di virus Z, forse il primo, se ben ricordo, in Germania. Un traffico di organi umani, un’operazione di trapianto illegale. Un ricco trapiantato muore, si alza e un altro focolaio di virus Z esplode in qualche località pacifica e sicura della Baviera. Così per ogni ricco paziente in Europa e in Germania che ha pagato per acquistare l’organo di cui ha bisogno, ignorando lista d’attesa e protocolli medici. Così, divagando ancora, ricordo che una delle azioni più “sporche” di Doug Stamper in #HouseofCards, è proprio quella di violare il processo democratico-amministrativo nella lista d’attesa per un trapianto per salvare il suo capo. Tornando a Max Brooks mentre scrive World War Z. Tutto il libro è costituito dal racconto di scenari post-guerra Z.

Non sappiamo come il virus Z sia arrivato in Sudafrica o come sia giunto esattamente in certi suburbs americani. Sappiamo che azioni di contenimento erano in corso in tutto il Terzo mondo. Brooks ci vuole raccontare, in un esercizio di coerenza narrativa complessiva, come il virus è riuscito a superare quarantena e controlli sanitari in Europa. Proseguendo la lettura di Beating back the Devil gli investigatori dell’EIS tracciano il contagio fuori dagli schemi epidemiologici. Vicoli ciechi e indizi promettenti sfumano ma è proprio per questo svolgimento che porta l’autrice a scriverne. E’ una dinamica divergente che studiata e poi narrata si trasforma in uno scenario coerente e diventa storia. Una narrazione utile per i prossimi membri dell’EIS come per medici di famiglia e chirurghi di tutto il mondo. É lo stesso “utile” tragico dei conquistadores di fronte a un sovrano ameridio, lo stesso utile ma furbo per il banchiere di fronte a un ministro delle finanze. É “utile” per evitare la prossima epidemia zombi. É probabile che Max Brooks abbia letto il libro di McKenna per documentarsi, rinforzare la coerenza narrativa del suo “vero” dopoguerra zombi.
Ancora: l’ultimo albero dell’Isola di Pasqua.

Un’immagine diretta e discussa. L’ultimo albero viene tagliato e con esso la storia della civiltà sull’Isola di Pasqua cambia in maniera definitiva. Non importa che la popolazione avesse già smesso la tradizione di civiltà ancestrale polinesiana di grandioso sea faring. Con quell’abbattimento, suggeriscono Jared Diamond e Tainter, il futuro è reciso e il collasso inevitabile. All the trees in the world are going to fall sooner or later. But not on us fa dire al protagonista di The Road Corman McCarthy. L’albero mostrato in Blade Runner 2049 è artificialmente retto da cavi d’acciaio, una finzione, fiction, di speranza. Al di là della linea principale relazionale nel film una speranza, anch’essa una finzione, è garantita, sembra per poco, da Niander Wallace, produttore di proteine che ha conquistato i resti del mondo. Il tono da dio è giustificato: è colui che ha salvato quel che resta dell’umanità dal cannibalismo e dall’estinzione sul pianeta Terra. Regge il destino cosmico dell’umanità che è l’esatto opposto dello spettro del collasso e del suo ultimo gradino nel cannibalismo non rituale, il mostro innominato di ogni collasso ecologico. Un albero che non cade, l’unico, ultimo albero è l’Yggdrasil un minuto prima della fine.
Ancora.

Bruno Arpaia fa forse il miglior esercizio di speculative/climate fiction nella narrativa italiana contemporanea. Mette in scena una soft apocalypse e alcuni gradi tipici del collasso. Le due idee creative più importanti sono una sussurrata relazione tra coscienza e natura, il “qualcosa là fuori” del titolo e la costruzione di un grande Nord. Le nazioni scandinave e la Russia sono delle nazioni tecnologicamente sviluppate mentre tutto quello che era in altre fasce temperate crolla sotto la pressione di effetti non lineari del cambiamento climatico. Meschiari in un’intervista a Preethi Nallu per Doppiozero non per nulla chiede dei vinti e vincitori del cambiamento climatico nei prossimi decenni. Peter Ward per esempio inserisce i paesi mediterranei tra i “vincitori”. Non sappiamo infatti per quale motivo gli Stati Uniti sono intervenuti in Nigeria nella backstory dei protagonisti di Repo Men ma in nessun saggio si prevede qualcosa di buono per Nigeria e, altro esempio citatissimo, per il Bangladesh. La Brexit, in un salto che può sembrare spericolato, o la stretta sulla fascia del grano ucraino da parte della Russia, su che scenari si basano? 2050, il futuro del nuovo Nord (Einaudi 2011) di Laurence C. Smith, un portentoso saggio di sviluppo attuale delle comunità urbane nell’Artico e previsioni controllate, quale storia anticipa e quanto della storia riportata e scrutinata da Smith influenza, muove e suggerisce a Bruno Arpaia e i dialoghi nelle stanze del potere? Bernanke convince George W. Bush a “salvare” le banche d’affari americane con lo spettro della Grande depressione accelerata, in appartamenti che oggi non hanno stufe a legna. Cosa e come raccontare l’Antropocene siamo già certi che non sia affare soltanto di creativi, scrittrici e scrittori.
Ogni scenario contiene uno shock culturale o cognitivo. Questo protocollo di evocazione e selezione procederà anche per gli scenari futuri. Crediamo sia d’interesse intellettuale e poi letterario svolgere scene e momenti di fronte alla complessità legale, tecnologica, informativa nell’Antropocene, complessità creata e alimenta, alla nebbia cognitiva su effetti ed eventi non lineari nel pianeta che si riscalda, nella musica dei tempi del “nessuno è innocente”, gli spettri delle decrescite auspicate o temute e mitizzate,
C’è una spinta narratologica essenziale che si alimenta su eventi reali e che trasfigura negli svolgimenti narrativi. L’operazione creativa in TINA è mirata a svelare quanto più il processo di elaborazione delle scene e dei temi e dei collegamenti. Intercettare le parole chiave nel flusso informativo come azione prodromica essenziale.
Non appena concluso il Progetto TINA, revisionato, completato in tutti gli scenari e in elaborazione editoriale presso una casa editrice, pubblicheremo le fonti d’ispirazione e rimando alla lista di scenari. Tracce e senso della composizione. Del sentiero delle possibilità del Romanzo dell’Antropocene vogliamo mostrare ogni passaggio.