Moresco dell’Antropocene

Ho un’ora e mezza di parole di Moresco.

Blogger e cultori de la nuova carne, di Milano Nera, di Effe – Periodico di Altre Narratività vi hanno tutti contribuito.

Sono lì per la Grande Estinzione e per la follia di Giulia Taddeo, ufficio stampa di SEM.
Sento dallo scrittore le parole catastrofe, migrazioni immense, confine, collasso, nomadismo, fine delle città, crisi climatica, Antropocene.
Mi sembra di ascoltare uno scrittore de la Grande Estinzione, un Meschiari timido, con una lucidità su mondo, coscienza e futuro importante e per me sorprendente. Uno scrittore che ha capito che il tempo di una certa letteratura sta finendo esattamente come il calmo e prevedibile clima dell’Olocene.
Un Moresco per nulla snob nelle letture, che parla della potenza dei generi narrativi, di fantascienza, del thriller. Poi di immaginari piccini e letterature stanche. Moresco sa che un tempo narrativo sta scadendo e ha svoltato il terzo romanzo di cui si compone Canto di D’Arco con l’immagine di una “marea di buio”.

Non sono un fanatico seguace di Moresco, spesso ne sono stato un feroce detrattore. Questo il suo editore lo sa bene.

Affogare scene significative, ispirate, importanti in un mare di scritture nevrotiche, ripetitive, autoriferite mi è sempre risultato uno spreco, il segno di un vizio della letteratura italiana. L’esigenza di chiarezza, il rifiuto della ripetizione, l’esaltazione di personaggi e scene in Canto di D’Arco mi dicono di un Moresco maturo, convinto della giusta battaglia, in pace con il suo passato che stavolta tace e lascia spazio al testo.


Zombificazioni, crollo della realtà, crisi della fiction dei confini sono sintomi e indizi delle spinte dello scrivere nell’Antropocene.

C’è una marea di buio in arrivo in questo romanzo di Moresco.

Risultati immagini per canto d'arco

Metaforica nella difficoltà di rendere immagini del cambio epocale della fine dell’Olocene, l’oscurità della dissonanza cognitiva all’iperoggetto, reale nell’inconoscibile di nuovi perturbanti che non abbiamo mai davvero visto come specie se non come accenni e sussurri devastanti.
Sento già le risatine degli scrittorini trasformarsi in paralisi facciali, specchio della loro immobilità creativa.

Presto un pezzo sul romanzo dell’Antropocene di Moresco su questo blog. Un romanzo pieno di viscere della specie che va sezionato nelle sue scene e parole chiave e che non soffre della Grande Cecità di cui parla Amitav Ghosh.

Insieme al successo de L’ora del mondo di Meschiari è chiaro che qualcosa negli immaginari si sta muovendo.

A. V.

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