Mentre a Lione

… discutono di Antropocene, suonano di accenni su paradigmi, la questione del tempo per mitigare o per prepararsi al new worst case scenario, ripensamenti sul termine proprio da Jean-Baptiste Fressoz (di cui Da Shi è un fan mentre Makhno Boucher e Meschiari sono un po’ tiepidi, un po’ bizzosi), mettono insieme un confronto tra Avatar (2009) di James Cameron e The Wandering Earth (2019) di Frant Gwo. Tornano le minacce sui marcatori geologici, strascichi dell’infausto -per alcuni- multiplo pronunciamento.

Tocca dirlo in modo chiaro e diretto a tutti, ad Alfonso Pinto come a Boucher e a Fressoz, a Meschiari, a Orlowsky e a Draeger, Corrado e Isgrò: l’Antropocene è uno stato narrativo, una funzione narratologica, una crisi dei valori creativi. È il mondo nuovo che doveva nascere. Il termine si può declinare per dare una parvenza di essere à la page alle feste. Capitalocene, Polomocene, Chthulucene, NEU Pleistocene o come pare. Non sono le variazioni sul tema che cambiano il nucleo.

Antropocene è dove Cixin Liu svolgerà il nuovo romanzo, Of Ants and Dinosaurs. Non ci saranno probabilmente umani o mammiferi più grandi di un gatto ma non importa. Racconta un momento in cui l’intelligenza diventa una potenza generazionale e poi geologica e avrai un Romanzo dell’Antropocene.

Metti una ragazza contro le generazioni dei suoi avi e avrai cosmogonie ogni due pagine, il potere dei personaggi che si dilata nel tempo e nello spazio e il simbolo che si rigenera nelle 130 pagine forse di Hannah versus l’Albero.

Nel romanzo dell’Antropocene non deve esserci alcuna catastrofe come non devono esserci neanche umani. È una condizione, un nuovo sense of an ending con buona pace dei millenaristi letterati come del senso moderno per la fine del mondo.

Mentre a Lione si discute dello statuto del termine Antropocene e la Tate Gallery addobba per il collasso della civiltà occidentale ci si potrebbe aspettare che sulle scrivanie e nei bagni degli editoriali ci siano libri come questi sotto

… così, non perché si pensa che “i libri cambino qualcosa”, così per citare un editoriale ma soltanto perché si presume che chi lavora con le narrazioni per gestirne poi la transizione in oggetto libro sia anche interessato a conoscere il flusso informativo delle parole chiave rilevanti. Antropocene è una comoda e comprensiva, la sua conoscenza di ambiti e margini e questioni è antidisciplinare. Contiene il flusso di temi e conseguenze della specie intelligente dominante, l’animale che non si è differenziato, in una relazione biunivoca con il mondo che ha trasformato in un Pianeta.

Siamo alla seconda, terza, quindicesima onda di notizie sui tipping point. Disastri e inondazioni sembrano avere un colpevole ulteriore nel complesso di deficit infrastrutturale, etica finanziaria da dittatori, panico, impotenza. Il fato, la Natura hanno smesso di essere qualcosa dell’alterità e sono invece funzioni del Sistema Antropocene. Non è una catastrofe, la Catastrofe è uno stato in cui dobbiamo già adesso cominciare a definirci. Il vecchio mondo è finito, sta arrivando un nuovo pianeta…

… intanto potremmo spiegare perché la trilogia di Cixin Liu, Remembrance of Earth’s Past è forse il capolavoro della letteratura dell’Antropocene, ovvero l’unica letteratura che ha qualche rilevanza nel nuovo pianeta che abbiamo creato. Leggendolo forse è possibile capire questioni come l’Arca, i progetti di colonizzazione su Marte, i campi di rieducazione che sembra campi di concentramento per un milione di Uiguri e tante altre cose nelle pieghe della storia.

Si potrebbe studiare un test dell’Imbarazzo. Ogni volta che qualcun* sta pubblicando l’ennesimo romanzo letterario normie, così come un altro romanzo di genere per il mondo del Fine Olocene, si chiedano quali temi tratta l’opera. L’Antropocene ha provocato un invecchiamento accelerato come l’aria riscaldata nel pianeta che corre oltre le 400 ppm di C02. Certi temi, certa letteratura sono esattamente come delle centrali a carbone. Una volta che sono state costruite, si è pagato, si è formata un’intera classe di operatori del carbone, anche se è inutile, anche se è dannoso, anche se antieconomico spesso, è bene continuare a usarli come se i tempi dell’ammortamento delle spese facessero verità e necessità. Squalificati di attualità e necessità i temi del letterario, salvo casi sempre più rari, non interessano a nessuno, tranne a chi spera di tirare ancora sul carbone.

Queste tematiche occupano la mente di molti, dai romanzieri ai fisici, dagli strateghi militari agli intellettuali organici dei gruppi sociali subalterni… e non un estratto da un pezzo di questo blog ma de Il Nuovo Leviatano di Geoff Mann & Joel Wainwright (Treccani, 2019). Le tematiche di cui parlano gli autori sono quel complesso che mi piace riassumere con la singola parola ANTROPOCENE che no, è nella mente di molti tranne che degli editoriali, preoccupati invece di vendere e produrre la narrativa, come molto orgogliosi del carbone e delle macchine con motore a scoppio, come la letteratura del singolo, della famiglia, la provincia, del dolore, del precario, l’amore del borghese… mentre i lettori vedono svolgersi o sentono in azione forze inedite, come eldritiche, immense nella portata energetica e abissali sui tempi di riferimento.

Da Shi vorrebbe raccontare di due uomini, distanti nel tempo e nell’occasione, un bianco e un nero, ed entrambi mimavano, ognuno a loro modo, un Uzi che all’improvviso comincia a sparare aria nell’aria e c’è un ghigno in quei due volti ed è uno che parla di tribù e tribalismo, la barrack life descritta da Kaplan in The Coming Anarchy, volti che dicono qualcosa del futuro che arriva ed è quello, quelle parole e certe curve su volti.

Chi vuole raccontare nel recinto del letterario scaduto lo faccia, finché regge, fino all’ultimo sospiro del sistema. Pubblicare quel libro ha qualcosa della sofferenza ormai, pare. Racconta che la biomassa sul pianeta, carne umana e animale addomesticato -chi domestica chi? Cos’è la vittoria biologica come uomo e come maiale?- è un derivato del petrolio, sette e poi fino a dieci miliardi di esseri umani grazie a composti del carbonio che dovrebbero ormai rimanere nel sottosuolo, dovremmo avere paura del sottosuolo infernale ma non c’è una sola cultura umana che abbia davvero avuto paura delle caverne, dell’infero, del Sotto in un ricordo da creature notturne terrorizzate dalle lucertole divine. Racconta nel Cambriano un’altra civiltà che muore e si ammassa e si stratifica per diventare catrame e nafta in un nuovo ciclo che ora ci sembra cominciare. Racconta una storia che non sia uno scenario, ora.

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