… noi in questo fiacco e flautato tempo della lunga pace europea, mentre ingrassiamo, le nostre pance ingrossano e il repertorio delle discussioni a cena sono tutte più apocalittiche sul colore dell’olio, sulla resa di piccoli orti fuori città, sulle fragranze di pani e dolci scomparsi ma non ancora dimenticati, con i jersey a bloccare malamente i viali del centro, che possiamo fare? Poco.
Che si può sperare?
Qualcosa.
E allora speriamo che Vanni Santoni scriva il prossimo romanzo sull’istanza fondamentale dell’ultimo Pollan, Come cambiare la tua mente (Adelphi, 2019). Nell’inner space italiano deve esserci qualcosa, la soluzione creativa, il pensiero laterale, il risultato analogico inaspettato a questo embargo del cogitabile.
Che qualcuno, uno a caso ma tremendamente a caso, nutra di complessità nuove fiabe in antiche epiche. Sono i libri che leggeranno i bambini tra poco, quelli che dovranno affrontare la perdita secca della bellezza naturale dell’Olocene. Ci sono forme e sviluppi che sono ancestrali, indimenticabili dal flusso di essere specie narrante da alcune, troppo poche ma sufficienti, centinaia di migliaia di anni…
Mi chiedo: era il momento di “de-epicizzare” il Signore degli Anelli?
… e si smetta di anche solo usare il termine orribile: distopico. Non c’è spazio narrativo per immaginarlo, è uno strumento vecchio e non antiquario per descrivere ed evocare. Il tempo per allertare è concluso, il vivere in una distopia è già adesso in intere parti di continenti. 1984 in Xinjiang, Mad Max nelle rotte nel Sahara, gli Hunger Game sugli ospedali siriani e yemeniti. Immagina il 2100 e una mente vede solo un breve spettro con The Road o la San Francisco della Federazione dei Pianeti Uniti.
C’è tempo ma le immagini stanno cambiando.
Mentre si festeggia in città i bambini sono una compagnia rara, in montagna la neve è sparita, nelle campagne camminiamo nei cimiteri degli insetti in una guerra che abbiamo vinto ma di cui pagheremo presto le spoglie.
“… ora è il momento di parlare dell’asteroide che siamo noi” dice Massimo Sandal mentre leggo il suo Malinconia del Mammut (Il Saggiatore, 2019). Ci sono vette in questo libro che il romanzo borghese e neoliberista, vette e vertigini, che quel salotto e quel disagio intimo e personale non possono in alcun modo raggiungere. Sono quelle delle linee genetiche irripetibili e perse, le gocce delle piccole estinzioni nel vaso collassante della biosfera nell’Antropocene, la tragedia e la gloria dell’essere specie intelligente e civiltà nella sua infanzia tecnologica, quella possibilità unica del lettore di aver la posizione prospettica di un dio che guarda uno scorrere di kalpas e milioni di anni in poche righe.

Sono a pagina 149 ed elaboro un futuro per questo libro di Sandal: verrà tradotto in molte lingue. È uno dei romanzi di cui eravamo certi dell’uscita, prima che fosse scritto.
Nelle strade, in vacanza, sulle tavole a festa, è un Titanic sopra un oceano provvisorio in una sfera che solo per qualche tempo è stata blu e riconoscibile e la musica è quella del Collasso. Il Romanzo dell’Antropocene è uno spartito diffuso.