Mangiati dal torrente

Osservavo la neve cadere. Si scioglieva molto più rapidamente attorno a un’apertura, su un punto preciso della montagna. Pensai che doveva esserci dell’acqua che scorreva sotto quella spaccatura. Avvicinandomi potevo sentire un sibilo mischiato al vento e il materiale sonoro che ne provava l’esistenza. Lasciai passare vent’anni prima di raccontare agli abitanti del villaggio in cui vivevo quanto avevo visto e avevo continuato a vedere. La potenza della suggestione mi allontanava dai miei simili; avevo bisogno di un tempo che non potevo quantificare per maturare, per non sentirmi l’unico ad avere il diritto di conoscere e di proteggere quella bellezza non umana. Quando decisi che era giunto il momento di farmi aiutare a cercare l’acqua ero appena un giovane archeologo. Coinvolsi un gruppo di speleologi e qualche abitante del luogo. Allargammo la fessura della montagna, aprimmo la roccia e scavammo fino a sette metri di profondità dalla superficie. Solo allora realizzammo che ciò che avevamo scoperto era una grotta. Un luogo abitato, un ventre casa. Il primo spazio fisico dove qualcuno si era fermato cercando un riparo per la propria intimità. Trovai uno scheletro completo fra i sedimenti del medio Miocene. Era un rinvenimento che avrebbe spostato indietro, molto indietro, le coordinate spazio-temporali dell’evoluzione umana. Esposi al primo ministro quanto avevo scoperto senza tralasciare nessun dettaglio, ma questi si degnò di visitare la grotta molti anni dopo, quando ormai era in pensione. L’unica cosa che disse fu: “Avrei voluto essere qui prima, ma non ho mai trovato il tempo”.

Eccoci davanti alla prima entrata artificiale della grotta. Da qui in poi si passa strisciando attraverso uno stretto corridoio per arrivare ai pilastri che si trovano vicino al punto di scavo, da cui siamo distanti circa quattrocento metri. Come puoi vedere, ormai l’accesso è stato bloccato. Da qui, per molti anni, ho trasportato insieme alla mia squadra il materiale necessario per i prelievi e i campionamenti. Se proseguissimo gli scavi potremmo trovare, ancora adesso, moltissime ossa di Archanthropus.

Quanti ricordi.

La roccia è formata da sedimenti del Miocene inferiore e medio. In termini geologici ci riferiamo a un periodo che va dai 23 ai 5 milioni di anni, ma questa particolare roccia ha circa quindici milioni di anni. Abbiamo trovato il primo osso, una tibia, lì, nella macchia gialla che vedi. Due anni fa ho condotto qui i membri dell’Accademia delle Scienze per mostrare loro il luogo in cui sono state trovate le prime ossa umane. Erano davvero stupiti. Dissero che avrebbero scritto una lettera al sindaco per chiedergli di pulire questo posto e renderlo accessibile a quanti volessero vedere il luogo dell’evoluzione. Il contenuto della lettera è stato ignorato. Non solo. È stato dato ordine di trasformare tutta l’area in un cumulo di rifiuti, riversando ogni tipo di detriti sulla strada d’ingresso. Perché è stato deciso di impedire l’accesso ai visitatori? Perché questo luogo è stato oltraggiato così prepotentemente?
Svolsi le mie ricerche concentrandomi su tutta l’area circostante e fino alla parte posteriore della montagna. Trovai una cava di calcare e feci in modo che fosse presa la calce necessaria per la costruzione dell’ingresso della grotta e degli edifici che sarebbero serviti da laboratorio. Mentre la calce veniva trasportata via, un pensiero attraversò la mia mente. Che cosa stavo togliendo dalla terra? Nessuno aveva mai prestato attenzione a questa cava, eppure erano sepolti nelle sue viscere i primi umani. Chiesi e ottenni un permesso di scavo adeguato. Avevo bisogno di setacci e operai. Portai studenti, molti studenti, membri della società antropologica. Lavorammo duramente. Prelevammo e analizzammo moltissimi reperti.

Da queste parti c’è un torrente invernale che scorre così impetuosamente da spazzare via il terreno dalla riva del fiume. La gente del posto lo chiama Neró pou tróei , Acqua che mangia.

Vieni! Guarda questo cumulo di ossa! Era un grande elefante.
La zona è ancora piena di fossili. Si possono trovare ancora molte cose qui. Ma chi continuerà i lavori di scavo? Ci sono successori?
Guarda com’è tutto abbandonato! Avevamo iniziato a costruire delle strutture per effettuare gli studi sui materiali raccolti. Un edificio era destinato a essere un laboratorio geochimico per l’analisi chimica e stratigrafica della roccia e dei sedimenti. Tutto ciò che ha a che fare con uno scavo è fondamentalmente geochimico. Doveva essere costruita una sala per le conferenze. Immagino che valga la pena costruire un edificio per discutere sul futuro dell’umanità. Ma come puoi vedere, ci sono solo fondamenta e rifiuti.

Andiamo via, adesso. Lasciamo che il torrente arrivi fin qui.

Ispirato a una storia vera

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