Se non si ha la fortuna di una mente come quella di Paolo di Paolo, una che “non ha tentazioni apocalittiche”, bisogna riconoscere che qualcosa si continua come a piegare nella cronaca.
L’eruzione di un vulcano in Alaska ma più nelle Filippine (forse perché in un’immagine più vicina a Toba?), un pattern divergente di un’infezione polmonare in Cina -la parola coronavirus + “nuovo”-, si leggono e si immaginano in qualcosa di più? Stiamo leggendo come leggevamo della SARS nel 2002? Chi-segue-la Cronaca oggi elabora le informazioni in segni, cerca tipping point, teme/è sollevato che la potenziale catastrofe sia stata individuata e consista in un evento? Dobbiamo ripensare il famoso “non è il mondo che peggiora, è l’informazione che è migliorata”?
Da quando un’eruzione, un incendio, non sono più solo lava e alberi in fiamme?
Un bel po’ di domande per noi che non temiamo l’apocalisse dell’interesse per il romanzo borghese della nostalgia del maschio bianco per i bei tempi andati, l’unica apocalisse che anzi speriamo si compia prestissimo. Non leggere quel tipo di romanzi libera risorse scarse per altre letture come ad esempio il molto bello The Future as Catastrophe, di Eva Horn
Today’s awareness of the future as catastrophe consists in the feeling of being at a tipping point, at a moment when simply going on with our customary lifestyles will gradually lead to catastrophe—yet one that we can hardly anticipate in its scenario and repercussions. This is why the disaster scenarios currently most discussed revolve around the collapse or disruption of highly complex systems. Global warming, which currently dominates concerns about a major destabilization of the earth’s life system, can thus be understood as a name used to render this type of catastrophe representable as an object of study and concern. Climate change, to which I will devote a whole chapter, is nevertheless not the only problem at hand, as is pointed out in the current debates about the Anthropocene, which cannot be reduced to global warming. What we are dealing with is a metacrisis composed of many interrelated factors, dispersed into a multitude of scenarios, and distributed among many different subsystems.
Divagando senza alcuna vergogna, si approfitta che un qualche senso di continuity è possibile in ogni storiella dell’Antropocene, nell’impossibilità di cambiare davvero argomento, provo una svolta. Ho comprato il 21 febbraio del 2018 un paio di stivali Bates, neri, comodi, suola antiscivolo e antiacido, neutri ai metal detector, gli stessi che porta Agent K di Blade Runner 2049 ma oggi ho notato che si stanno già decomponendo, la colla cede, la pelle si sfalda, elementi essenziali vogliono distaccarsi in pezzi di niente. Alcune cose, anche quelle comprate per davvero resistere, studiate, pensate e suggerite per reggere a paesaggi e poi inner landscape devastati, senza negozi di stivali, corrosivi, marziani, crollano. Mi sto preparando a sostituirli questi stivali perché la realtà regge, altri 250-300 euro sono possibili, alcuni chilometri vanno ancora percorsi nella sicurezza della vita pubblica di questo fine Olocene. Mi solleva nella ricerca che ci sia ancora abbondanza di mascherine n95, guanti di lattice inutilmente colorati. Non c’è ancora l’assalto a proteggersi dal coronavirus come dai fomiti. C’è un tempo in cui vive il povero romanziere italiano e i suoi romanzi scaramantici contro cui il mondo cospira di svelarne l’assoluta inutilità e poi i tempi in cui dissonanze e ansie analogiche assaltano sempre più persone. Per queste ultime velocemente una piccola lista della spesa si può comporre:
- Due scatole, sono l’Amazon Choice.
- Quattro scatole e cominciare a smettere di toccarsi continuamente la faccia
- Da pensare in galloni

Poi. Mandare in onda Contagion (S. Soderbergh, 2011), magari sulla Rai e in fascia prime potrebbe essere un messaggio da interpretare oppure una scelta del caso o ancora una “terribilmente a caso” come le vittime scelte da Buffalo Bill. C’è anche una continua associazione tra fine delle videoteche, dei negozi di dischi e delle librerie, lo spettro del collasso sui libri. Mettere mele e aspirine, upgrade e antifragilità è ovviamente uno degli esercizi più avanzati di un sistema che espone in prima fila immaginari scaduti trasformati in romanzi in serie realmente indistinguibili uno dall’altro e dall’altro autore che lo scrive perché vendono e in questo vendere sicuro ma sempre meno e collassare un po’ ma mai davvero ci sono reali asimmetrie ed effettivi ignavi profeti che evocano la propria rovina.
Potrebbe essere davvero, ancora non a caso, il momento di comprare nella libreria locale questo libro

Ora si può scegliere di avere paura e le occasioni per averne aumenteranno in una sostituzione indotta progressiva dei motori sociali della depressione per procedurali della paranoia da flusso informativo.
Oppure si può ascoltare la storia di scrittori famosi di distribuzione ma assenti nell’immaginario del merito letterario. Costoro parleranno in generale del disastro della perdita del valore e senso del Libro, ovviamente (è) il loro libro, proprio quello che i maligni potrebbero considerare un punto nella curva di Seneca del collasso-libro, una delle tante spintarelle verso il baratro di una letteratura nazionale irrilevante. Sono quel tipo umano che di fronte all’aritmetica del riscaldamento globale confonderanno, in una nebbia di ignoranza abissale e furbizia da miracolato italico, pere e mattoni e tireranno fuori le profezie apocalittiche sulla merda di cavallo -shitapocalypse – di una certa Londra e, con un vero colpo di teatro, arringheranno e rassicureranno il pubblico che no, non siamo affogheremo nella merda così etc. etc.
Si può anche provare a tornare agli essenziali: il lessico è composto da chi ha le parole.
“Vende”, sentiremo ma solo gli sciocchi non conoscono il movimento inerziale delle vecchie e insufficienti idee prima di un cambio radicale di paradigma. E qui c’è un’altra apocalisse.
Una donna vuole fare l’agente letterario. Entra in una libreria famosa dove si presenta il libro di un giovane o di una giovane promettente autrice. L’ambiente è composto altrettanto bene: editoriali, stagisti nell’editoria, uffici stampa. Lettori e basta, lettori e aspiranti ci sono, in una minoranza che non è davvero silenziosa. La classe di reddito è decisa da quanti bicchieri consumare prima e dopo la presentazione ma non è compito della donna che vuole fare l’agente letterario controllare le uscite dalla libreria, gli astanti nel marciapiede di fronte, i livelli di particelle tossiche per parte per milione nell’aria e la C02 proprio tra le mura di cemento della libreria alla sera. Lei, la nostra protagonista, deve solo sentire di cosa parlano autore e presentatori. Può evitare di origliare le conversazioni in un mondo senza sorprese quindi senza misteri. Deve solo sentire di cosa parlano le persone sul palco. Quante parole rilevanti diranno, i temi trattati, le verticalità possibili, se hanno un qualche senso della fine e della realtà che resiste. Quali, quante parole. Potrebbe non trovarne la nostra agente e una qualche rivelazione, punti che si uniscono, letture e copioni inutili diventano insostenibili ed ecco che infine qualcosa si compone.
2 pensieri riguardo “Qualcosa contro la paura”