Breve manuale dell’Antropocene per il Salone del libro 2020

Nel paese incapace di produrre immaginario se non da Guerra fredda, sui bei tempi violenti passati della lotta armata e dell’ultimo boom economico nell’economia reale, della vita di coppia nel tardo capitalismo ma anche prima, nei salotti borghesi, una cosa nuova, finalmente, appare su un palco importante.

Capiamo lo shock di molti, ad esempio di quelli che non frequentano questo blog.

L’Antropocene è passato velocemente da essere tema tra geologi, delle scienze sociali, del dibattito culturale e politico, parola cool, ad ambiente narrativo ineludibile. Se questa espressione così perentoria oltre il corsivo sembra eccessiva non importa davvero. Si possono ancora scrivere romanzi letterari-letterari, storie di corna, novelle del tinello, strascichi narrativi negli ultimi racconti postmoderni, lo spettro delle nevrosi e del disagio, scrivere guardando dalla finestra e ignorare che, oltre il muro che circonda un grazioso giardino, l’incendio è incontenibile. Si può. Ma la realtà è arrivata. Per tutti.

Mentre le produzioni straniere variano e sono interessanti novel catastrofiche oppure serie tv con protagonisti-divinità che agiscono contro il cambiamento climatico, racconti distopici fuori tempo massimo ma con ragazze e ragazzi che affrontano un collasso, grandi produzioni di sci-fi transumanista – tutte storie che più o meno mettono in scena qualcosa del dibattito dell’Antropocene – in Italia Netflix elabora da copioni e soggetti di serie di Moccia e Missiroli e, appunto, la più grande casa editrice italiana pubblica principalmente variazioni del romanzo dell’Età dei Sentimenti in tutte le sue possibili sfumature.

In un immaginario bloccato sul passato, la provincia, il salotto, i dolori del maschio bianco etero, irrilevante rispetto alla letteratura praticata all’estero, fuori tempo e nella ripetizione di temi e topoi e trope, questa scelta tematica del Salone di Torino è un terremoto.

Immaginiamo quindi il panico. Antropocene, altre forme di vita, vivere e pensare in un’era di catastrofi, scrivere appena fuori dalla pace climatica dell’Olocene che ha permesso a civiltà e complessi editoriali di sorgere, cadere, prosperare, devono sembrare temi enormi, una vera bomba informativa e concettuale sulla letteratura illeggibile degli aspiranti editoriali, per la letteratura come inside joke, il narrare come misterioso bene posizionale. Quello scrivere che è tutto tranne che creare immaginario.

Dice Lagioia: ” Viviamo nell’epoca in cui i cambiamenti climatici e geologici sono dovuti all’uomo sul nostro pianeta. Al tempo stesso, mentre il futuro sembra essere nelle nostre mani, è una delle epoche più incerte che stiamo attraversando. Quindi ci siamo domandati: quali altre forme di vita bisogna immaginarsi per attraversare in maniera degna, e anche bella, i prossimi anni?”

Di cosa parlerà quindi il tipico scrittore italiano, di più o minore successo, di talento oppure no, al Salone dell’Antropocene? Sappiamo che il tipico scrittore e la tipica scrittrice italiana non ama leggere, informarsi, studiare i temi importanti o di cosa e come si scrive all’estero. Se lo facesse la foresta dei segni che si compone di ogni nuovo romanzo scritto e pubblicato in Italia sarebbe diversa, ci sarebbero già parecchi romanzi dell’Antropocene, le parole chiave sarebbero “collasso”, “cambiamento climatico”, “cosmogonia”, “shift cognitivo”, “sopravvivenza”… Se non si sono accorti dell’irrilevanza culturale e del ritardo tematico delle loro opere c’è comunque il tempo per rimediare. Lo scenario infatti è grave. Al bar, magari dopo una corsetta per inseguire un editoriale, lo scrittore italiano potrebbe trovarsi a dover parlare di una serie di cose, proprio quelle di cui fino a qualche tempo fa magari ridacchiava leggendo i post di questo blog.

Evitare il panico e scenari dolorosi è una delle missioni de La Grande Estinzione. L’altra è dare le coordinate. Che siate scrittori o scrittrici del solito romanzo borghese o editoriali tanto distratti da aver ignorato un dibattito essenziale, oppure soltanto semplici lettori ma curiosi, adesso, di fronte ai temi per il prossimo Salone, questa breve lista è per voi.

Grande cecità

È il titolo di un saggio dello scrittore Amitav Ghosh. Un giorno, durante una tempesta, il giovane scrittore scelse di abbandonare la sicurezza di una tettoia e affrontare il muro di pioggia intorno. Quella non era una tempesta qualunque, Ghosh capì che l’era delle “tempeste qualunque” era finita. La tettoia crollò, ci furono dei morti. Nel saggio Ghosh si chiede quali siano i limiti cognitivi degli scrittori e i limiti narratologici del romanzo, incapaci di vedere che il mondo è cambiato i primi, di creare immaginario per la nuova era il secondo. Vogliamo ricordare che tutto il saggio è un atto d’accusa contro una certa letteratura, vantarsi di praticarla sarà un po’ più difficile dopo questo Salone.

Iperoggetto

Una delle caratteristiche dell’Antropocene è l’essere popolato di iperoggetti. Più volte abbiamo consigliato di leggere Iperoggetti di Timothy Morton. Il cambiamento climatico è un oggetto viscoso, non contenibile, inafferrabile, diffuso, invisibile e assolutamente reale, presente, rectius presente in ogni luogo. Questa difficoltà nell’elaborare un iperoggetto è compito della poesia seria, dell’epica, della cosmogonia, del Romanzo dell’Antropocene.

Morselli can’t save you

Anche se doloroso come tutte le perdite secche, parlare di autori italiani morti (che non possono difendersi), quelli citati continuamente come padri e, meno, madrine di una certa letteratura, in lingua editoriale o meno, non servirà a niente per la comprensione delle complessità dell’Antropocene. Anche nello small talk da Salone comprendere concetti aiuta la chiacchiera. In quanto complessità l’Antropocene causa la perdita di valore di saperi precedenti e quello letterario non ne è certamente immune. Questi libri sono alcuni di quelli che insomma, citandoli, non si fa la figura dello scrittore italiano antiquario.

Collasso

… cognitivo, dei modi in cui rappresentavamo il mondo, delle filiere logistiche, dell’estrazione di valore dalla natura, di servizi essenziali, del sistema delle assicurazioni e della previdenza sociale, della civiltà della globalizzazione. Il collasso è uno spettro che aleggia nelle nostre città come a Wuhan, sull’Isola di Pasqua del XVII secolo come sul sistema libro oggi. È una presenza anche senza un impatto catastrofico, creando scenari locali da distopia, un collasso punteggiato, periferico, invisibile, o come la possibilità spettrale che aleggia sulle manifestazioni dei sistemi, su tutto lo Human security system. Leggere Collasso di Jared Diamond non basta per cogliere l’essenza del collasso, ma certamente è un buon inizio. Ne Il Volontario di Scibona come in Hannah versus l’Albero c’è il suo effetto, la sua pervasività nell’immaginario collettivo.

L’ho già scritto/Ne parlo da anni

A parte una manciata di romanzi e una cospicua quantità di saggi, spesso specialistici, ben pochi conoscevano la parola Antropocene prima di qualche mese fa. Una delle furberie più in voga sarà quella di spacciare distopici italiani per romanzi che trattano il vivere nell’Antropocene. Di questa messe tardiva o retrodatata di romanzi ambientati in società della scarsità accentuata, sull’orlo del collasso, privi di alcuni sistemi essenziali c’è ben poco da prendere. Il romanzo dell’Antropocene ha alcuni definiti sviluppi, alcuni topoi in formazione, contiene sempre certe parole chiave. Di essere nel flusso informativo giusto, di averlo intercettato, possono dirlo davvero in pochi e non è detto che il grande fair play sui romanzi che si scrivono salvi sempre la giornata.

Animalità/Alterità

Ci sono alcuni libri di riferimento per parlare oggi di immaginazione in relazione ad animali, piante e cose, e il più importante di tutti è The Handbook of Contemporary Animism. Un libro importante perché raccoglie 500 fittissime pagine di esempi su come la mente umana, oggi, sia in grado di pensare/immaginare in modo alternativo la vita, l’animalità, i “popoli-non-umani”. La lista si potrebbe allungare. Ad esempio leggendosi Dialoghi con i non umani a cura di Fabiano e Mangiameli, o How the Forests Think di Kohn. O anche recuperando Lévi-Strauss con i suoi “animali buoni da pensare”. Lo slogan è pronto, è facile, arriva diretto, ma il lavoro alle spalle è complesso, e non possiamo limitarci a citare l’Aperto di Agamben o Filosofia dell’animalità di Cimatti. Perché il rischio, ancora una volta, nel mettersi a immaginare/pensare animali per i prossimi tempi è quello di ricadere nel solito etnocentrismo/esclusivismo culturale dell’Occidente. L’antropologia dell’animalità, la zooantropologia, gli Animal Studies, i Post-Human Studies, lo studio delle ontologie indigene dovrebbe metterci al riparo da tale rischio, ma per non rischiare tutto bisogna studiare, e indubbiamente la “fretta antropocenica”, assoluta e relativa, climatica e psicologica, sta creando più confusione che chiarezza. Non è solo la tentazione di fare show-business sulla pelle del pianeta. Si tratta piuttosto di affrontare seriamente la questione a monte, usando le parole giuste, definendo categorie e concetti, attivandoli per complessità. Che cos’è un animale, anzitutto? Definirlo in dialettica all’umano è il primo facile trabocchetto, il cui esito è la produzione di una fiera di bizzarrie, di esotismi, di corte dei miracoli non-umana che appaga la superficie ma che non offre strategie operative. Vogliamo questo al prossimo Salone? Non crediamo. Che cos’è allora un animale oggi, nell’Antropocene, cioè proiettato nella doppia prospettiva del tempo geologico e del collasso dei tempi? Come non immaginare un animale, un’altra forma di vita se non articolandola con una irrinunciabile prospettiva cosmologica? Come sostituire a una tassonomia linneiana una tassonomia dell’overlapping relazionale? Come riflettere sull’agency dei non-umani? Ancora una volta, impostare un tema significa farsi le domande giuste. Senza queste domande il rischio è la spettacolarizzazione dell’incendio che ci sta bruciando la carne. Le altre forme di vita, prima di essere immaginate, vanno intellettualmente rispettate.

L’Antropocene è un immaginario, composto, in formazione. Anche il più cinico sul compito della letteratura e del fare libri sarà costretto ad accettare che l’Antropocene come immaginario è una questione fondamentale, essenziale, politica, che definirà il nostro modo, della comunità umana tutta, di stare su questo pianeta.

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