Un conto è un progetto collettivo che somiglia molto a un rizoma, che cresce in modo asimmetrico e armonico nell’ascolto della molteplicità e delle singolarità, che si ubriaca di complessità, brainstorming e metodo stocastico, in equilibrio tra agency e caso. Un conto è fare un libro. Dunque è arrivato il momento di raccontarvi tutto. Abbiamo sempre aggiornato lettori e partecipanti degli sviluppi del progetto in un’opera di trasparenza informativa che fa parte dello spirito di TINA.
Nei primi di gennaio 2020, a Modena, il materiale raccolto nel 2019 è stato ripensato in previsione di diventare un’opera complessa, possibilmente un libro. Non potevamo rassegnarci all’antologia di novelle, dovevamo portare gli sforzi di tutti quanti verso qualcosa che somigliasse a un punto di partenza, a un volano tematico, non a un’autocompiaciuta consacrazione.

Per farlo abbiamo pensato di trasformare l’antologia in un manuale narratologico, con un doppio flusso di testo, narrativo (gli scenari) e discorsivo, cioè una serie di frammenti connettivi in cui articolare i discorsi che ci premono tanto in questo momento: Antropocene, Collasso, Sopravvivenza, Resistenza, Immaginario ecc. ecc.
Il primo problema è stato: come ordinare il materiale narrativo? Abbiamo deciso di distribuirlo in sette giornate tematiche e, all’interno di ogni giornata, gli scenari passati e futuri sono stati organizzati in ordine logico, cioè in modo tale che il precedente introducesse a senso il successivo, e che il successivo sviluppasse, articolasse, approfondisse quanto raccontato negli scenari precedenti.
Questo ordine rapsodico prevedeva di ordinare gli scenari per contenuto, e in questo modo abbiamo generato delle sequenze forti, cogenti, macronarrative, in cui alla fine dell’ultimo albero sull’isola di Pasqua poteva seguire il racconto delle colonie su Marte, oppure dopo l’influenza spagnola poteva trovarsi la megaeruzione di Toba. Questo metodo si chiama delicata empiria.
L’idea era garantire un livello massimo di complessità, confidando nella capacità del lettore di viaggiare con le proprie gambe nel micro-iperoggetto TINA, dal momento che il pensiero per complessità, oggi più necessario che mai, lo si insegna anzitutto con la pratica, in un apprendistato dove proprio la difficoltà è tecnica di affinamento cognitivo.
Il titolo ANTROPOCENE DECADENCE era nato per gioco. Il 28 giugno 2019 uno di noi aveva postato la falsa copertina di un libro, sufficientemente credibile da far pensare ad alcuni di noi che il libro esistesse davvero. Qualche tempo dopo abbiamo deciso di usare questo titolo per riassumere il progetto. Più che Tokyo Decadence (ma perché no?) ci piaceva l’idea che Tina registrasse (prima di tutti gli altri libri che spunteranno come funghi) la fase di decadenza del termine “Antropocene”.

Per due mesi abbiamo lavorato duramente ai tessuti connettivi, cercando di fare una cosa molto semplice: costruire un flusso discorsivo-narrativo coerente, che aiutasse il lettore ad attraverserà in modo progressivo dei livelli di complessità sempre maggiori, come in un videogioco… Nel frattempo cominciavano ad arrivare le prime immagini.
La raccolta delle immagini, suggerita e operata dal geniale Rocco Lombardi, è stata fatta nello spirito autarchico del progetto collettivo: ogni artista poteva scegliere un soggetto dalla lista tematica, e così è stato. Dunque, per espressa volontà di chi le ha realizzate, tutte le immagini raccolte sono state appositamente pensate e realizzate in funzione di uno specifico scenario.
L’8 febbraio 2020 ci siamo trovati a Parma, ai Diari di Bordo di Alice Pisu e Antonello Saiz, in una memorabile serata in cui abbiamo discusso per oltre due ore e poi per altre quattro in un pub cittadino. La comunità temporanea di TINA non solo ha avuto modo di incontrarsi in carne e ossa, ma ha potuto percepire che il progetto stava prendendo davvero forma, affollata, rumorosa, entusiasta.
In quell’occasione abbiamo portato per gli editoriali interessati alcune fotocopie delle prime tre giornate del progetto. Ma non erano semplici fotocopie. Erano un vero e proprio menabò, curatissimo da un punto di vista grafico da Claudia Damiani, perché il layout di un libro complesso è centrale: fa insomma tutta la differenza tra un prodotto che spacca e un prodotto ignorante. Gli editoriali presenti (uno) hanno potuto discutere con noi le ragioni di questa cura.

Il 21 febbraio 2020 Antonio Vena e Matteo Meschiari, come curatori del progetto e in ottemperanza a quanto stabilito dalle liberatorie firmate da ciascun partecipante, hanno firmato un contratto di edizione con l’editore Aguaplano di Perugia. Un editore che, con coraggio, nel ritardo generalizzato, ha saputo cogliere lo Zeitgeist e la serietà intellettuale del progetto. L’editore che ci segue dall’inizio del progetto, che per primo lo ha chiesto in lettura. Che si è preparato ai temi e alle sfide dell’Antropocene come narrazione diffusa e si è posizionato, preparato alla transizione che gli compete: da progetto a libro.
L’editore, in attesa della consegna del manoscritto finale, ci ha invitato a discutere su tre punti centrali: cambiare il titolo; riordinare in ordine cronologico gli scenari svolti (in ogni singola giornata, dal più antico a quelli futuri); accorpare le immagini in un unico fascicolo da collocare presumibilmente a metà del volume. Nessuno di questi punti, ovviamente molto critici, era però sufficiente per rinunciare al progetto. C’è, meglio c’era, una sfida nello shift progetto-libro. Questo passaggio rischioso, inevitabile, è stato una vera sfida: mantenere la complessità e aumentare la fruibilità del prodotto cartaceo. Un esempio del costo compromissorio degli shift concettuali. Fare di TINA un libro è un vero cognitive shifting: doloroso in una fase, proficuo e produttivo nell’altra.
Sentiamo tutti, coordinatori, autrici e autori, illustratori ed editore la pressione delle aspettative. Il Libro di TINA ha già attirato interesse, tra gli appassionati come tra gli scavenger culturali, ancor prima di essere finito. Abbiamo già ricevuto numerosi inviti a parlare di TINA in scuole e licei del nord Italia così come il progetto è inesplicabilmente conosciuto nelle redazioni di quotidiani del sud. Librai e lettori, fuori dalle nostre rispettive bolle social, chiedono la data d’uscita e notizie sulla distribuzione.
Quindi:
il “Libro di Tina” si intitolerà: STORIE DELLA GRANDE ESTINZIONE; all’interno di ogni giornata gli scenari saranno in ordine cronologico dal più antico nel passato al più lontano nel futuro; le immagini saranno probabilmente raccolte in una sezione a parte e non illustreranno i singoli scenari per cui sono state concepite.
Il 3 marzo 2020 abbiamo consegnato all’editore il manoscritto definitivo. L’editore non interverrà sui tessuti connettivi ma ha dichiarato l’intenzione di fare editing degli scenari, azione prevista e necessaria. Ovviamente noi curatori abbiamo l’ultima parola e sorveglieremo l’integrità generale del progetto, una formula di rito, tale sorveglianza: abbiamo scelto attentamente l’editore, capace, preparato e consapevole che Storie della Grande Estinzione non vuole e non può essere un altro libro tra i tanti. Entro 20 giorni dovremmo avere le prime bozze.

Il collasso è in atto, comincia nell’apparenza che nulla stia cambiando. Sono tempi incerti per chi non è pronto e non si è preparato, cullandosi in un pensiero magico di normalità e nella superstizione del suo ritorno. Il Libro di Tina sarà il primo e unico libro del 2020 che spiegherà a tutti come iniziare a reagire.
La cronistoria potrebbe continuare, ogni impegno, ogni contratto, ogni progetto è una promessa e una scommessa sul futuro. Il calendario di lavoro è definito ma flessibile e antifragile. Tabelle di marcia, competenze, ulteriori sforzi intellettuali sono già stabiliti e previsti. Saremo pronti per il Salone del Libro 2020, il Salone dell’Antropocene come non solo qui viene ormai chiamato. Storie della Grande Estinzione sarà nel mondo giorno 14 maggio con Aguaplano Libri.
Ancora un po’ di pazienza, ci siamo.
MM | AV
L’ha ripubblicato su Downtobaker.
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