Ve ne siete accorti? I sogni notturni sono diversi, sono cambiati, sta accadendo qualcosa di strano. Nella settimana 2 della Quarantena possiamo discutere dell’inadeguatezza di Agamben, del bisogno di (de)foucaultizzare la filosofia politica, possiamo leggere e far leggere grafi, improvvisare dirette in rete e postare copertine di libri come ex voto. Ma perché sentiamo troppo rumore? Perché non funziona? Lo percepite il diaframma tra principio di realtà e vita? Che cosa ci impedisce di leggere, di scrivere?
Qualcosa nella nostra testa sta andando altrove.
La nostra banda del pensiero è occupata da un rumore bianco.
Sta scavando pozzi profondissimi mentre noi continuiamo a pattinare sui laghetti ghiacciati di Central Park. Si chiama TRAUMA. Stiamo vivendo il primo vero grande trauma collettivo dell’Antropocene. E non ha a che vedere con dialettiche politiche o ideologiche, se ne frega delle opinioni e delle classi. Non è più il riscaldamento globale. Arriva ovunque con la potenza di un pugno, sottile come un capello in gola che uccide. Mentre parliamo i nostri sogni notturni vanno altrove. Ma questo altrove è il nostro presente e il nostro futuro.
È già successo. Nelle cronache di Procopio di Cesarea, nei taccuini dei sogni di Arthur Schnitzler, i pianti, le sofferenze, i sensi di colpa per le estinzioni nell’Antropocene, i pensieri e i sogni di rivolta delle Ancelle nel romanzo di Margareth Atwood, i riflessi nella neocorteccia delle immagini dell’11 Settembre, i sogni dei Tedeschi durante il Terzo Reich raccolti da Charlotte Beradt. Sono i sogni di chi vive una catastrofe, la fragilità svelata dei sistemi, di chi sente l’arrivo del totalitarismo e di chi lo ha vissuto.
La mente elabora, in colori, immagini, storie, ordina e dispone, di notte. Qualcuno anche di giorno.
I sogni rielaborano la linea di demarcazione tra fiction e realtà, sistemano gli strumenti immaginifici e cognitivi con cui operiamo e viviamo il mondo.
Questa influenza diurna che impedisce di concentrarci, di leggere come prima, questa febbre dei sogni che stiamo vivendo, meritano attenzione, studio, un esperimento collettivo.
Qualcosa va trovato e provato.
È il momento di attivare il progetto DRAUMAR – L’ANTROPOCENE DEI SOGNI. In islandese “draumar” significa sogni, ma ovviamente c’è qualcosa che fa ponte tra dream e trauma. Il progetto è semplice. Prendete un quaderno e tenetelo vicino al letto. Se la notte sognate (e anche chi non sogna presto sognerà), annotate i vostri sogni. Raccontateli nel mondo più elementare possibile. Non fate letteratura. Non è letteratura. È un’occasione antropologica per registrare il suono di un evento storico mai verificatosi prima, è l’era in cui l’analisi inciampa e la visione la sostiene.
Adesso ci vogliono 50 sognatori. Scrivete i vostri sogni, quelli dei vostri figli, fatevi raccontare i sogni dai vostri vecchi, dei vostri amici. Oppure, se credete di non sognare, raccogliete quelli contenuti nei libri, quelli di chi ha sognato un trauma collettivo prima di noi.
Pensate a una scatola dove tutti questi sogni di un’epoca di passaggio andranno a finire.
Nella FASE 1 del progetto, da oggi fino al 3 aprile, raccoglieteli. Poi il 3 aprile metteteli tutti nella scatola.
Chi aprirà questa capsula del tempo, un giorno potrà forse comprenderci meglio. Intanto noi, adesso, dobbiamo elaborare questo dinosauro nero che è arrivato in salotto e che rischia di schiacciarci. Dobbiamo insomma iniziare a fare i conti con la parte sommersa dell’iceberg.
La scatola è questa: draumarproject@gmail.com
(per aderire al progetto inviateci una mail, basta solo nome e cognome)
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