Una cometa di 430 chilometri di diametro è in rotta di collisione con la Terra. Velocità, massa, composizione, il giorno dell’impatto combinano una storia finale. Non c’è tempo per prepararsi, nessuna caverna abbastanza profonda per ricreare qualcosa che assomigli a una nicchia ecologica. Gli oceani evaporeranno, il pianeta verrà sterilizzato. Qualcuno battezza l’oggetto celeste Surtr, il nero gigante norreno che incendia il mondo. È finita. Tutti gli sforzi, ogni schiena piegata, generazioni di corpi nella macchina del progresso, ogni guerra e ogni sua tecnologia, miliardi e miliardi di individui vivi e morti in ogni epoca, la gabbia dell’agricoltura, i sogni e gli incubi del futuro, le biblioteche, tutti i contenimenti sono inutili. Avevamo una finestra d’opportunità dell’Olocene. C’era un patto con Dio ma riguardava solo il diluvio, non ce ne sarebbe stato un altro. Adesso il fossile di una galassia più pericolosa sta per concludere l’esperienza Terra. Dove abbiamo fallito, cosa potevamo fare, non era già successo? In attesa della fine, il Tribunale della Civiltà si riunisce.
Osservando i popoli delle steppe lungo l’asse orizzontale euroasiatico, cavalli e pony, uomini capaci di muoversi e tirare con l’arco, sagittari viventi ovvero l’arma perfetta, uomo e animale e tecnica, i Romaioi di Bisanzio si adattarono. La prima lezione non era nel campo d’armi ma nel registrare gli spostamenti, identificare il flusso di popoli, storie, assedi. Impararono la lezione. La fecero propria.
Polemologi e giocatori di videogiochi la chiamano nebbia di guerra. Zone del terreno, la forza effettiva propria e dell’avversario, l’intero campo di battaglia su tutte le dimensioni compresa quella virtuale, non sono del tutto visibili o elaborabili. C’è una nebbia che offusca la percezione, l’analisi, il futuro. Qualcosa, indipendentemente dalle capacità tecniche, dall’esperienza, dalla intelligenza dell’osservatore, rimane celata.
Daniel Kahneman, in un dibattito con Nassim Nicholas Taleb, parla della reazioni umane alle perdite.
Immagini compongono l’immaginario di un individuo, altre immagini compongono l’immaginario di una nazione, e poi anche quelle di tutta la specie umana. Queste sono visioni. Visive, visuali, visionarie. C’è un romanzo italiano che ha prodotto questo tipo di immagini negli ultimi dieci anni? Quali immagini ricordate dell’ultimo romanzo italiano letto? Quali immagini sono uscite dai libri dell’ultimo decennio che vi hanno accompagnato come animali-guida nel quotidiano, che vi hanno ossessionato la notte?
I tempi: dell’esistenza, della politica, dell’economia, della demografia, poi della geologia. Ecco il viaggio nel tempo possibile: tutti i tempi comunicano, inviano emissari, procedono a gocce e vento verso tipping point sulle montagne come nei salotti.
Non eravamo pronti. Questa è una sentenza.
L’ETO (Earth-Trisolaris Organization) sembra sia composta da intellettuali, ecologisti, “dispregiatori del mondo” direbbe Nietzsche. Dicono che l’umanità è non emendabile dalla sua voglia di distruzione e autodistruzione, incapace di superare i limiti della sua natura, quel programma biologico che permette l’Olocausto come il vaccino per la polio. Per i membri dell’ETO l’umanità è un sistema bloccato e serve un intervento esterno. Diventano la “quinta colonna” dei Trisolariani, una razza aliena che vuole conquistare il pianeta. Per l’uomo comune, dice Cixin Liu, sono soltanto traditori dell’umanità.
Coprire i rischi, spostare ogni tipo di rischio verso l’altro è una strategia funzionale in un sistema reso stabile dalla cecità di alcuni attori.
Una pandemia mortale viene dalla stessa sacca immaginaria – ma per nulla fittizia – di Internet, dell’insulina, delle viti di titanio su una frattura.
Siamo nel flusso informativo che prevede il permanent record. Quello che viene scritto sui social, dove siamo stati, è in qualche modo registrato. Ecco che la distopia narrativa del controllo elettronico di massa ha fallito perché troppo semplice.
C’è la storia dei miliardi, di persone, di euro. I miliardi non sono cognitivamente elaborabili. Le masse di miliardi e milioni creano incubi, i miliardi di euro fanno sognare di riceverne una parte, un qualche modo, qualunque modo. Immaginare un qualche assistenzialismo post-pandemico è un riflesso religioso, un sogno eteronomo.
Quelli che vivono di rendite posizionali hanno tutto l’interesse a nascondere i rischi a tutti gli altri. Il rischio è narrativo, il pericolo vero è il crollo narratologico.
Una delle caratteristiche del collasso è il crollo dei saperi. Qualche nozione utile, una storia, una pratica, una tecnica, all’improvviso diventano irrilevanti. Un collasso ha molti svolgimenti possibili, ecco che il collasso è sempre una catastrofe anche se non prevede la perdita di vite umane o danni immediati alle infrastrutture o ai beni privati, ma questa perdita secca, non mitigabile o eludibile, di saperi è una forma fissa, forse è l’essenza stessa del collasso. Quando avviene c’è una crisi di autorità. Gli intellettuali, rispettati prima del collasso, annaspano, parlano, citano; voci riconosciute e repertori concettuali e lessicali perfettamente validi diventano un brusio. Il crollo dei saperi è un perdita secca di senso, certe parole lo perdono del tutto, all’improvviso. Ecco che il collasso è anatema ed è più facile parlare di guerra o di complotto o di funzioni politiche. Ogni modo di mitigare le perdite nel crollo dei saperi del collasso diventa una pagliacciata tragica. Questo è valido per l’illuminazione a olio come per i motivazionali sulla lettura e la vendita dei libri. Il sistema è collassato, quello che si sapeva fare e dire prima del collasso è come provare a venire a patti con una pietra, un’intelligenza non umana, come uomini di fronte ai tempi geologici dello spostamento delle placche tettoniche. Sono un annaspare verso i vecchi sistemi ordinativi mentre si è già installato un nuovo re che non crede nel trono e nella tiara.
I coronavirus non erano controllati fino all’epidemia di Sars, un ambito oscuro eppure erano lì, in attesa del salto. Ipereccitati, ogni funzione vuole saltare.
Da settimane esperti che non vediamo e di cui non conosciamo il nome stanno valutando come cambieranno i consumi. Altri hanno già detto come cambia il corpo umano inquadrato in un lavoro culturale o impiegatizio. Il lavoro da scrivania è antropocenico per eccellenza. Manager e strateghi senza nome si allenano per l’Ironman. Il corpo umano che si assesta nel contenimento è contrario all’evoluzione svoltasi nel Pleistocene, in qualche modo è antiumano. La condizione del contenimento è una nuova prosecuzione.
Sono le menzogne, anche quelle a buon fine, che si scontrano contro il principio di realtà che creano i clusterfuck. Storie che trasformano contingenze in necessità. È appena passata la storia della non utilità delle protezioni facciali, tra poco ci sarà quella di uscire da casa.
I rivoluzionari in privato scimmiottano i nobili che hanno deposto. Per qualche minuto dimenticano le forze asimmetriche che hanno scatenato.
Futurologi che non fanno previsioni sono finti risk taker.
Sembra che Homo Sapiens sappia rispondere all’emergenza, alla catastrofe, sempre in maniera reattiva, ex post, l’umano incarnato da Epimeteo, il titano che pensa dopo. Questo ritardo cognitivo è adesso mortale in tutto il pianeta, in questo pianeta è il vero rischio esistenziale per la specie. Non una catastrofe, qualunque catastrofe è affrontata e affrontabile. Non i misteriosi istinti omicidi e genocidi dell’animale uomo o un difetto dello spirito. Questo pensare dopo è il vero pericolo.
Sognate pure il salvataggio da parte dello Stato. Potrebbe accompagnare le giornate in un sollievo in attesa del sollievo finanziario.
Dovremmo uscire da casa quando in tutte le abitazioni ci saranno dispositivi di analisi per agenti patogeni Covid19-like. Reagenti e marker ricaricabili come le cartucce della stampante. Negativo, esco.
Un uomo si lamenta del servizio in camera, della sistemazione in albergo, del piatto che ha ricevuto al ristorante. Volete che tutto finisca, che la pandemia si concluda, che si torni a lavorare, a uscire. Questo volere, espresso in varie esposizioni, più o meno colte, più o meno furbe o cialtrone, è in ogni caso magia della parola, fossile superstizioso. Prendo da Twitter: “non potete lamentarvi con il manager del Coronavirus”.
Cercare dio negli spettacoli delle marionette in cui una parola cancella le immagini, il senso dei numeri, è attività da sognatori. Neanche i bambini sognano così.
Convincere qualcuno di essere in errore è solitamente l’attività più frustrante nelle dinamiche umane. Bisogna lasciare alla realtà questo compito (?).
La gente tende a prepararsi al peggio. Un piano prevede di fargli dimenticare queste spinte istintive, riportare la gente al ruolo di consumatori.
Quali parole dovrebbe usare se non quelle del marketing intellettuale lo scrittore del romanzo dei sentimenti, il borghese che scrive del romanzo borghese nell’Antropocene Manifesto, mentre il primo trauma globale del vivere-nell’Antropocene si sta svolgendo?
C’è il concetto di “scorte strategiche”, che non è lessico militare ma concetto dello human security system. Le scorte di strategie immaginifiche in Italia sono zero. Le riserve assenti per “il giorno di pioggia” sono il segno di un sistema che sta grattando il fondo del barile. Questa è la condizione dello scrittore borghese italiano. La feccia è già stata utilizzata, sono al bucare la botte.
Alcune cose alimentano una qualche pulsione religiosa. I feticci devono essere continuamente sostituiti, ne servono di nuovi. Che cosa dice di davvero religioso il Dottor Manhattan? Che l’Apocalisse nucleare sarebbe possibile anche in un mondo in cui non esistono le armi nucleari.
Ci vogliono molti mesi, anni per padroneggiare l’uso dell’arco, settimane appena per diventare un soldato con un’arma da fuoco moderna o contemporanea.
Di fronte alla “pila di cadaveri” (cit. Bill Gates) le manovre di chi si è reso non essenziale come l’editoriale che spinge in pieno contenimento per il ritorno alla normalità significano continuare a usare l’arco mentre la guerra è di elettroni e informazioni.
Nell’epoca della sorveglianza di massa realizzata il dibattito sui droni è un altro modo per chiedere di parlare con il manager del Coronavirus.
Qualcun* pratica ancora il tiro con l’arco. Questo è lo statuto della letteratura nel romanzo borghese. Schiere di romanzieri italiani, poeti e poeti renitenti – quei poeti che scrivono romanzi per ottenere qualcosa di nebbioso nella pubblicazione che non riuscivano a ottenere pubblicando o non pubblicando poesie – continuano a praticare, più o meno bene, qualcosa che non risponde più alla velocità, alla struttura del mondo intorno. Producono immagini che sono frecce sul nuovo velo che ricopre il mondo, su cui infatti sono incapaci di incidere. La trama della civiltà è diventata più complessa ma loro non se ne sono accorti.
Che succederà dopo, con l’economia in pezzi? Un altro modo per non parlare con il manager del Coronavirus volendoci parlare.
Un sistema mosso dall’inerzia come l’editoria sta già investendo grandi energie per mostrare al paese in contenimento i volti e le voci di scrittori e scrittrici. In pieno collasso, pochi minuti e giorni prima della fine, sembra che i sacerdoti e i guardiani siano estremamente impegnati.
Ecco il Basilisco dell’Antropocene, ha qualcosa della stessa bestia di roko ma non è un’ipotesi, non deve essere creato, c’è già. Ogni nostra azione è messa agli atti nella quantità di inquinanti e nella Co2, filtrato in metadati essenziali: ossi di pollo, riscaldamento globale, pile di cadaveri, depositi di invenduti, ignoranza del flusso.
In cerca di una qualche speranza è bene riprendere Teilhard de Chardin, il prete paleontologo. In qualche modo promette che non ci sarà una cometa Surtr. Libere invece tutte le altre tribolazioni.
Vogliamo dirlo in modo più chiaro: siamo davanti a una faglia, una frattura tettonica, possiamo solo saltare, ma il salto deve essere molto lungo. Quindi dobbiamo posare tutti gli ammennicoli superflui che ci appesantiscono. Dobbiamo svuotarci persino le tasche dalle monetine. Forse dovremmo spogliarci completamente e saltare nudi, sapendo che ci feriremo le piante dei piedi e ci sbucceremo dolorosamente le ginocchia. Ma dobbiamo saltare. Adesso. Chi adesso non salta, chi dice non dobbiamo saltare, chi fa ironia sull’ipotesi del salto, chi urla ai quattro venti che la faglia non esiste e che basta aspettare e tutto tornerà come prima, andrà tutto bene, è un criminale. Sta organizzando letteralmente un crimine collettivo. La tossicità di una letteratura del ripiego, del nido, della nostalgia, la tossicità di un sistema economico-culturale che vuole illudere le persone che la risposta è salire su una bicicletta e recapitare libri a domicilio, la malafede tossica di editori e gregari che nascondono sul fondo della cassa il pesce marcio, sono crimini contro quello che potremmo essere se saltassimo subito al di là della faglia.
Vichinghi sbarcano in una terra nuova. Vogliono allevare, coltivare il grano. Non vogliono mettersi a cacciare le foche. Hanno il ferro e ha funzionato, funzionerà ancora. Invece no. In quel momento, quando ancora potevano imparare a cacciare, con ancora alcune riserve di cibo ed energie, hanno deciso il loro stesso collasso.
Ora, divertente è la discussione sui romanzi della pandemia che stanno arrivando, dicono, nelle redazioni delle case editrici. Un sistema che pubblica la feccia e l’inutile intellettuale letterario non è semplicemente un mondo che ha diritto di esistere in base ai più elementari diritti dell’uomo, è un freno, una nebbia, un delatore per chi cerca di esprimersi nel flusso informativo. Un sistema inerziale che non intercetta niente si lamenta del presente, dopo aver fallito completamente nel passato. In queste ore è uscito qualcosa di Paolo Giordano, Sul contagio, ovviamente per Einaudi. Un sistema che non intercetta è ridotto allo scavenging. In queste ore Scurati scrive della Milano sotto contenimento. Il sistema odia il crollo dei saperi, sta stabilendo i volti del futuro, riciclando pupazzi. In queste ore Baricco parla di Antropocene, dopo averci dato prova con un saggio di centinaia di pagine di essere mostruosamente indietro nella comprensione del sistema mediatico globale. Che cosa potrebbe dire sull’Antropocene se non usare questa parola per i suoi effimeri effetti magici alla Harry Potter? Un Harry Potter vecchio.
Adesso che il pericolo è manifesto, il trauma del vivere nell’Antropocene è diventato manifesto, la produzione di fallacie da parte dei rentiers intellettuali italiani sarà raddoppiata. Ogni complessità ridotta ancora e ancora. Nel momento di leggere bene e leggere in piedi, le fallacie narrative avranno un’esplosione. Il modo di gestire il flusso è intrattenere, rimestare – temi e immagini -, mentire. “Va tutto bene” unico sottotesto.
Al Signore di Trisolaris non interessano piani e proteste dell’uomo, eppure troppi vogliono venire a patti con il Covid-19, inventando pensieri e bisogni, inventando racconti di mezze salvezze, di trucchi per farcela, di esenzioni miracolose.
Come non vediamo che l’inverno è sparito, così non abbiamo visto cinquanta milioni di Cinesi in quarantena preventiva domiciliare. #Milanononsiferma è l’esempio di narrazione fallimentare, fuor di sesto, fuori tempo massimo nell’Antropocene. Le narrazioni tossiche e fallimentari in un sistema inerziale zombificato diventano criminali, un crimine contro l’umanità nell’Antropocene.
Qual era il mostro nella stanza? Non importa perché tutto era concentrato a negare l’esistenza di tutti i mostri e i demoni come una disposizione diffusa di marketing. L’Industria della Cecità è attivissima, essenziale.
Tutte le monoculture sono cattedrali di cartapesta innalzate agli dei della carestia finale.
Basilisco, abbiamo detto quanto potevamo.