Tana salvi tutti

Qualcuno ha detto che se la Spagnola del 1919 ha insegnato molto all’umanità sulla gestione delle epidemie, quello che invece non si è elaborato abbastanza è la “metafisica” del contagio. Non sappiamo se si debba parlare di metafisica, ma possiamo constatare una frattura netta tra principio di realtà e percezione sociale del rischio. Covid-19 non è Ebola, il vaiolo, la peste bubbonica, non si manifesta con orrori cutanei, piaghe, muco verminoso e vomito verde tipo l’Esorcista. Covid-19 è in larga misura invisibile. Questa fiction del contagio andava raccontata, sugli essenziali: igiene, trasmissione, fomiti, contaminazione incrociata. Non è successo, aggravando ulteriormente percezione e comportamenti impropri. Sommersi dalle opinioni di chi pensava che il coronavirus fosse una cazzata, pericolosa solo per i vecchi, e l’economia, si sono persi giorni preziosi. Questi soggetti portatori di opinioni sono stati una peste cumulativa sugli impreparati e i farabutti professionisti e hanno realizzato un passaggio di specie: da inutili a nocivi.

Dal “fronte” ospedaliero trapelano pochissime immagini dei malati terminali, i racconti clinici sembrano censurati e al grande pubblico, semmai, arriva solo la tristissima narrativa dei commiati via tablet. Ma come si muore davvero di Covid-19? Ieri sera l’abbiamo chiesto a un medico che monitora a distanza molti pazienti in terapia intensiva. Queste sono le sue parole, che abbiamo deciso di riportare tali e quali:

“Il malato Covid-19 va peggiorando progressivamente. È un processo variabile nel tempo ma abbastanza costante. Un giorno affanno, il giorno dopo peggio, dopo ancora nettamente in deficit respiratorio. Quando arriva in ospedale viene generalmente attaccato all’ossigeno insieme a tutte le terapie endovena che sono abbastanza pesanti. In poco tempo la massa muscolare tende a diminuire rendendo il paziente emaciato, tirato. Le gambe diventano secche, le braccia anche. L’aria manca sempre. Quando la maschera non basta più si mette il casco che è una sorta di scafandro con ossigeno spinto a pressione maggiore, in modo da fare da massaggio agli alveoli per distenderli. Quando le cose girano male, si comincia a mettere il paziente a pancia in giù sul lettino (sempre sotto ossigeno) perché è una posizione che favorisce maggiormente il respiro e lo scambio di ossigeno nel polmone. Generalmente sono sempre lucidi, guardano con gli occhioni spalancati, stupiti ma consapevoli. Sanno che se ne stanno andando. Oggi un mio paziente in terapia intensiva mi ha mandato un messaggio su whatsapp con il disegno di una bara. Non sta bene, ventila in maniera insufficiente e si rende conto che è appeso a un filo. In serata si è ripreso, speriamo bene. Ma era lucidissimo quando ha mandato il messaggio. È una malattia crudele, a tutti gli effetti. Ti fotte i reni, i pazienti vanno quasi sempre incontro all’insufficienza renale che – se se la cavano – resterà probabilmente per il resto della vita. Tornano a casa, quando tornano, distrutti. La prognosi per il recupero nei casi più seri supera i 2 mesi abbondanti. Ho dei pazienti giovani che sono rientrati da oltre un mese e sono ancora KO, strisciano i piedi in casa e non riescono a riprendersi”.

Dopo il messaggio alla nazione di ieri sera, già questa mattina qualcosa è cambiato. Più auto in circolazione, più gente in giro nei parchi, in molti a pregustare visite ossigenanti in libreria e non necessariamente per comprare. Gli operai torneranno in fabbrica dopo Pasqua con protocolli sanitari stabiliti non in base a standard nazionali ma in via discrezionale dalle singole aziende. E a breve, non c’è da dirlo, riapriranno le chiese, perché al cuore dei figli di Gesù non si comanda. Che fosse questo l’esito lo avevamo previsto da qualche tempo. La macchina neoliberista aveva già fatto i suoi calcoli e il “modello lombardo”, nonostante l’ecatombe, nonostante l’infame fallimento, si sapeva che l’avrebbe sgamata. 

Quello che veramente fa vomitare è che nel mondo della cultura prendano la parola dei monumentali XXX (figli di puttana, cani, criminali infami, latrine, un’offesa adeguata da scegliere a seconda del vostro background) che sdoganano il principio del “ragionevole” a scapito della razionalità di centinaia di medici nel mondo che dicono che allentare il lockdown adesso è praticamente suicidiario. La stessa ragionevolezza di chi pensava che salire sui mezzi pubblici, a febbraio, senza una mascherina adeguatamente tenuta, fosse inutile. In breve, tra giugno e luglio avremo un nuovo picco, ancora altri giorni con settecento o seicento o più di cinquecento morti. Al giorno. 

“… perché la peste bubbonica non ha fatto un maggior numero di vittime? Molti risponderanno fornendo una serie di spiegazioni di facciata che chiamano in causa teorie sull’intensità della peste e modelli scientifici delle epidemie. (…) La ragione principale della sopravvivenza a tali malattie potrebbe essere inaccessibile per noi: esistiamo perché (…) si è avverato lo scenario ‘roseo’ ” scrive Nicholas Nassim Taleb ne Il Cigno nero. 

Ma com’è potuto accadere? Solo perché i cattivoni di Confindustria e del capitalismo zombie l’hanno sempre vinta? No. È potuto accadere perché è immensamente facile usare la stanchezza di intere masse in quarantena, o frustrate dall’endemica crisi economica, che fanno una fatica enorme a immaginare un male invisibile. Una stanchezza incredibile, dopo solo poche settimane. Tanto incredibile perché portata avanti, sussurrata. Le voci di quelli che ragionano, quelli che capiscono la stanchezza, parlano con l’umore della popolazione, si lamentano con il virus e a nome di tutta l’economia, queste genti che amplificano malessere a volte con arguti stati e commenti social sono gli stessi che dicevano “è solo un’influenza”. Non si tratta qui del grossolano meccanismo di difesa autoreferenziale del “tanto non tocca a me”, un meccanismo classico che, stravolgendo Spinoza, sembra confermare che gli stronzi non vengono toccati dalle catastrofi. È proprio una carenza cognitiva nell’immaginare cose che non hanno un riscontro quotidiano: liste a fine giornata dei “caduti”, polemiche sull’operato dei politici, cronache biliose sui furbetti, statistiche incomprensibili anche a chi ha fatto lo scientifico, post smart rubacchiati qua e là, foto di ricette della quarantena, dirette librarie, e voi amici?, in tutta questa macedonia mediatica la realtà del virus si volatilizza.

Questa smaterializzazione del pericolo e della morte fa credere a troppa gente che questo bellissimo aprile di sole ci salverà. Intanto gli intellettuali delle “farmacie dell’anima”, gli imprenditori di “l’Italia non si ferma”, i paladini di “le librerie aperte come simbolo” parlano di un paese finalmente di nuovo in movimento, in movimento “col culo degli altri”, perché loro, il corpo, lo terranno comodamente a casa, e staranno a vedere che succede, in attesa di un nuovo posizionamento in base a venti e correnti variabili. Questo movimento è il vero pericolo invisibile, tra appelli, giravolte di intellettuali di piccolissimo cabotaggio, motivazionali a zero euro, più o meno coordinati in una comunanza che i servi, senza veri interessi e senza uno straccio di opinione, conoscono bene. Cosa è successo nelle menti di gente istruita, d’influencer, intellettuali, quanto poco è stato percepito il rischio, grave, enorme, presente, del Covid-19 per far elaborare e poi firmare una roba come questa? Il distacco tra intellettuali e creativi dalla realtà nell’Antropocene, da rischi e prospettive, è svelato.

Questo è l’inizio dell’emergenza, la classe creativa e intellettuale ha già sbroccato. Che questo sia stato necessario con oltre cinquecento morti al giorno ha dell’incredibile.

Opportunisti ed equilibristi mentre le strutture della società tremano. Prima fanno di tutto per farci credere che non sta succedendo nulla poi, quando vedono venti e correnti e numeri cambiare, salgono sul carro e dicono “ehi, vi piace il carro che ho inventato io?”. Ma continuano a non vedere, continuano a negare. Guardano le strade e la gente che passa, smettono di sentire le ambulanze o forse non le hanno neanche notate, si illudono di non essere una categoria a rischio (spoiler: l’umano è categoria a rischio Covid-19), vogliono vivere come prima, ricominciare. Editori in solidarietà pubblica e richiesta di pagamenti ai librai in privato come “augurio di ritorno alla normalità”. Hanno letto qualche pagina dal letterario del pandemico e del catastrofico ma non hanno capito nel riflesso della doppelmoral che praticano in quell’inerzia che si chiama “vita culturale”. Doppia morale. Come prima. Come sempre, la loro unica strategia di “sopravvivenza”. La servitù del libro per costoro vada pure al lavoro, nonostante il bilancio dei morti, il pericolo reale, l’assenza di un vaccino. Incapaci di immaginare, mentre piangono per il proprio prezioso romanzo, la ricchezza che producono per la società bloccata nel limbo, ancora una volta, a cosa dovrebbero servire? “Facciamo solo libri” dice la scrittrice e lo scrittore cieco e l’editoriale stupido ma colto, “non potevamo immaginare”. Appunto.

MM AV

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