Scuola Torino

In questi giorni di ossessivi bollettini medici, di reclusioni più o meno volontarie, di decurtazione di stipendi milionari, di aperture e di chiusure di cordoni sanitari, a seconda delle esigenze economiche del paese, e del mondo, si affaccia la timida protesta di un gruppo di intellettuali ed editori italiani: chiedono l’apertura delle librerie, un modo per garantire i diritti dei lettori e per permettere alla Cultura di continuare a manifestare insieme a noi, così  sostengono. Erano passati pochi giorni dall’inizio dell’epidemia, non ancora divenuta pandemia, che a Nord si registrava un meno 50% nelle vendite dei libri. Un fatto che non è sfuggito ai proprietari delle librerie italiane, che si sono trovati, all’improvviso, con l’impossibilità di giustificare il costo di chi nelle librerie ci lavora, a prezzi salati. Perché? Fino a quando qualcuno ciondola per le librerie, si presentano testi, con un occhio agli autori che riempiono i posti, senza dovere troppo insistere con gli uffici stampa e i giornali, va bene. C’è l’alibi morale di occupare delle persone, e nello stesso tempo di offrire un servizio al paese. Ma che servizio è se il 90% dei libri prodotti dopo due mesi finisce al macero, una sorte migliore la loro di quella che faranno quelli scontati a ridosso dell’uscita, gli autori in caso di ristampa non percepiranno niente, una bella fregatura ma a cui ci si sottopone volentieri, con l’illusoria speranza di trovare così  tanti lettori da potere poi trattare, in seguito, un prezzo differente per il proprio  lavoro. Già fin qui la situazione è abbastanza complicata e poco adatta a chi soffre con lo stomaco, in più aver reso accessibile a tutti la “carriera dello scrittore” ha ulteriormente aggravato la situazione. Vediamo come.In Italia esiste un’unica scuola “accreditata” come scuola di formazione per gli aspiranti scrittori e un’altra per aspiranti editori, mi fermo a queste perché poi ce ne sono tante altre che nascono da esigenze diverse, e non garantiscono un lavoro finito, a differenza di queste due. L’intuizione di questa scuola di scrittura, mi interessa soffermarmi su questa perché è quella più radicata nel paese e nel suo immaginario culturale, è stata giusta se partiamo dal presupposto che si può imparare a scrivere. In America, paese di riferimento della suddetta scuola per dare consistenza a questa esperienza, le scuole di scrittura sono una realtà  fortissima. In America il cinema è stata una potente arma di importazione della democrazia, una grande industria, fondamentale per la tenuta del sistema. Torniamo in Italia. La scuola più  famosa di scrittura avrebbe potuto trovare la propria collocazione naturale a Milano, se vogliamo tenere conto dell’industria editoriale  italiana per come si è  sviluppata , o a Napoli, se teniamo conto di quella che era l’importanza dell’editoria scolastica napoletana per il paese, e invece la sede scelta fu Torino, perché mai direte? Per “Il Salone del Libro”, per l’Einaudi? No, accadde, semplicemente, perché in Italia il cuore economico del paese si trova a Torino, quello antico, quello che ha condizionato anni di sviluppo economico e politico, cose che Goffredo Fofi scrisse negli anni ‘60 e che ancora oggi sono uguali ad allora. Portare a Torino una scuola di scrittura voleva dire dare vita a una nuova coscienza culturale, voleva dire innalzare il livello di populismo, un populismo che trovava terreno fertile in Italia. Il tarlo della  sudditanza psicologica Nord vs Sud era stato instillato goccia a goccia a partire dalle prime migrazioni in fabbrica, e chi sarebbe andato a Torino, con la speranza di poter entrare a far parte del mondo culturale italiano, ricevendo la patente di intellettuale/operaio, avrebbe alimentato e diffuso in maniera  più pervicace. Così è  stato. La creazione della scuola non ha allargato l’orizzonte degli italiani, a fronte di personale specializzato prodotto, né ha innalzato la media degli scrittori, che sembrano sempre più persi dietro l’affermazione di sé, più che proiettati verso la produzione di opere interessanti e utili per allungare lo sguardo, e le prospettive di vita dell’intera comunità.I social hanno ulteriormente inasprito il gioco. Una polemica azzeccata, con un cospicuo  numero di like, rende più  facile pubblicare ancora e accedere a premi blasonati, tutte cose che cambiano la situazione finanziaria di un autore. Quindi la scuola di scrittura è diventata un monolite compatto, monolite che viaggia con i giornali, le fabbriche  il calcio, il sistema Italia per intenderci, un sistema formato da gregari più che da leader, a tutti i livelli. La pandemia però ha smosso le acque, anche se immediatamente sono state mobilitate penne per descriverla, sempre in chiave populista, l’orecchio del lettore diversamente non sentirebbe, una cosa che fino a quando potrà  reggere questo sistema così detto culturale? Chi scrive in Italia, fuori dalla scuola, si sta muovendo in un’altra direzione, e non crede proprio che Torino valga una messa. Il Covid-19  ha rimesso in moto la diffusione delle idee, la circolazione dei libri sotto forma di e-book, in maniera gratuita, la creazione  di apposite collane e-book come ha fatto per esempio Adelphi, collane calibrate per un lettore meno volenteroso ma a cui non si vuole abbassare il gusto. Non tornerà più l’era del cinghiale bianco, e se è troppo poco qualcuno dovrà rassegnarsi a morire da travet. La peggiore condanna per uno scrittore o se preferite di più  per un intellettuale anche e soprattutto operaio.

Rosaria Fortuna

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