Incubi. Frammenti. Black-out. La seconda fase di DRAUMAR è molto diversa dalla prima. Molto più inquietante. Tante persone registrano in queste ore un frantumarsi dell’attività onirica. Persone che ricordavano sempre non ricordano più. La linearità narrativa prima si è complicata, poi si è ingarbugliata, infine si è accartocciata in un groviglio caotico che resiste alla trascrizione, che si sottrae alla parola. Chi si aspettava dal progetto un qualche tipo di sostegno morale si sente deluso, tradito. Chi si aspettava qualcosa da sé stesso ha lasciato insinuare sottopelle uno strano e irragionevole senso di colpa. Che cosa c’è che non va in me? Che cosa sto sbagliando? Poi c’è chi sogna come prima – così crede – e che trascrive senza fatica, che va avanti.
Il problema non sono i sogni ma il trauma. Che cresce e si sviluppa come un organismo autonomo, alimentato da incertezze e paure. Quando ne usciremo? Come sarà dopo? Ce la farò? In queste ore c’è chi reagisce come sa, come può, ciascuna e ciascuno con la propria storia individuale da raccontare. La psicanalisi, la terapia, pone per statuto l’accento su questo aspetto: il trauma individuale, il racconto individuale, la soluzione individuale. Ma se qualcosa di certo sta emergendo dal senso di impotenza vissuto nella Quarantena, se la Pandemia sta narrando qualcosa dentro di noi, è proprio la dimensione collettiva. È vero, in questo momento in Italia ci sono 60 milioni di quarantene tutte diverse, il senso di solitudine suona in testa come una sirena. Ma quello che sta accadendo è sociale: compressione delle libertà individuali, paternalismo politico, disinformazione, i furbi ancora più furbi, i deboli ancora più deboli, abbandonati a sé stessi. E anche i sogni hanno una dimensione sociale.
Lo abbiamo già detto in un post. Occorre ribadirlo per capire che siamo tutti sulla stessa barca. Il disturbo da stress post traumatico è anche chiamato “nevrosi di guerra” perché fu osservato e studiato per la prima volta dagli psicologi militari che presero in cura i soldati dopo la Guerra di Secessione e la Prima Guerra Mondiale. L’evento traumatico, come un intruso, continua a entrare nella sfera psichica dell’individuo sotto forma di incubi, annebbiamento, ricordo ossessivo, evitamento di tutto ciò che può ricollegare ai fatti, insonnia, irritabilità, ansia. Pare che su 100 persone esposte allo stesso evento traumatico 14 sviluppino il disturbo. Su 60 milioni di italiani il calcolo è facile, e impressionante. Ora, i sogni non sono certo una cura, al meglio sono zone di esercizio e rielaborazione dello stress. Jung ha scritto che “Inferno è quando il profondo arriva a voi con tutto ciò di cui non siete più o non siete ancora padroni”. Impotenza, paralisi, attesa, incertezza. Ma nei sogni c’è sempre un surplus che funziona come una via di uscita.
Questa via d’uscita però non può essere solo individuale. Non stiamo portando avanti DRAUMAR solo perché ci aiuta nella nostra solitaria quarantena, ma perché può aiutare tutti. Come? Guardiamo l’esperimento da quello che sarà il suo dopo, quando alla fine della Fase 3 ci saranno centinaia, forse migliaia di sogni nella dream box. Qualcuno di quei sogni farà parte forse di un libro. Quel libro servirà forse a registrare per chi verrà il lato notturno della Pandemia. In molti altri nel mondo hanno avuto idee simili e stanno raccogliendo sogni proprio per lasciare una testimonianza di questa frattura epocale. Ma la testimonianza non basta. La guarigione individuale non basta. Proprio come la Pandemia in corso deve suggerire dei modelli di prevenzione e di gestione per la prossima pandemia, allo stesso modo non possiamo lasciare che questa irripetibile ed enorme esperienza onirica ritorni di nuovo nelle acque dell’inconscio. Il nostro domani ha bisogno di una mappa, l’immaginario collettivo è questa mappa, DRAUMAR è il laboratorio per disegnarla.
Come possiamo trasformare l’esperienza individuale in esperienza collettiva? In questo momento è difficile, proprio come è difficile restare uniti restando separati, ciascuno nei limiti della contenzione domestica. Ma in modo intuitivo, resistente, creativo, la gente ci sta provando comunque a stare assieme. Certo, non è come prima, forse è solo un surrogato digitale, ma il desiderio di comunità sta crescendo e DRAUMAR è una comunità sognante. Il sogno non è solo un dono o una dannazione personale, è anche un evento che misura una temperatura sociale, che ci dice come la società sta cambiando e, soprattutto, ci manda segnali su come vorremmo che cambiasse, su come desideriamo che sia. Quello che dunque possiamo fare ora, tra incubi, frammenti di sogni e zone buie dove l’inconscio sembra aver smesso di parlarci, è resistere, tenere duro, perché in gioco c’è qualcosa di più grande delle notti solitarie che ci avvolgono. Resistere significa continuare a dormire accettando quello che il sonno porterà, accettare i non-sogni, accettare i grovigli narrativi, e sforzarci di continuare ad annotare tutto, perché anche il vuoto è pieno di significato.
Diamoci allora una nuova scadenza, che in realtà non ci stiamo dando noi, ma che ci viene additata come si mostra un lecca-lecca a un bambino: il prossimo conferimento dei sogni nella dream box è fissato per il 3 maggio. Il 3 maggio comincerà la Fase 3 di DRAUMAR. Nel frattempo, su quel quaderno, raccontate i sogni, se ci sono, e poi tutti i vostri non-racconti.