Il pericolo, secondo Harald Kruse nel suo Überlebenstechnik. Lexikon für das Überleben in Wildnis und Zivilisation, a sua volta citato da Eva Horn, è in agguato appena fuori dalla porta di casa. Questo ovviamente considerando uno scenario che preveda un bug out, l’uscita di emergenza dal proprio domicilio e verso una località, preferibilmente non urbana, “sicura”. Pericolo “vero” solo dimenticando che le statistiche sulla criminalità e in generale la violenza intraspecifica sono in crollo verticale, ancora, adesso, in tutto il mondo. Ne La paura e l’inganno Pino Arlacchi disamina efficacemente la fabbrica culturale della paura e l’inganno associato. Diciamo, in breve, che la paura, magari degli alieni come di una superiorità tecnologica militare non bianca, fa comprare e costruire F-35, produrre film catastrofisti, votare per maggiore “sicurezza e decoro”, scrivere manuali di survivalismo per “sopravvivere” al collasso e pensare accogliente la wilderness e immaginarsi sazi con una dieta di funghi spontanei. Ad altri e migliori discutere del survivalismo, pratica una volta fringe e da “pazzi”, e indicare con il dito spersonalizzante le storie di traumi appena in sottotesto in una serie come questa qui:
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Migliaia di bunker scavati in giardino sono rimasti, fortunatamente, – definiamo fortuna l’accadimento dello scenario rosa talebiano -, inutilizzati, così come budget e immensi depositi di armi e vettovaglie. Qualcosa è comunque rimasto, vagamente realizzato. Città e quartieri suburbani, costruiti proprio per allontanare parte della popolazione dalle aree d’impatto delle testate nucleari e, quasi più reale, il mindset da Guerra fredda. Il senso della fine di Kermode potrebbe essere comunque una tensione antropologica oltre che un intercettare critico. Qualcosa accade quando le guerre da rischio catastrofico globale non si scatenano, le zoonosi emorragiche non causano il TEOTWAWKI e via dicendo. Ci sono ottimi motivi per non temere la fine del mondo, nessuno di questi però è la successione di scenari rosa.
Poi succede qualcosa. Il posto più sicuro, a patto di trasformarlo quasi in una località isolata, è la casa. Antispazi e Disabitare di Meschiari, Essere senza casa di Didino e The silence di Don DeLillo sono tutti libri, romanzi nello spettro della theory fiction e della fiction theory, verso l’apocalittico. Questo qualcosa è il pericolo, il Covid è soltanto l’evento X. Spaesamento, Unheimlichkeit, weird non sono più relegate a uno spazio speculativo di singoli e scuole, sono condizioni di vita diffuse. Lo erano già, ma adesso siamo in spiaggia, il sole splende, l’Atlantico è calmo, siamo sull’Isola di Amity e non è cosa buona fare un bagno. Il problema è sempre comunque lo stesso: come si fa a riconoscere se è davvero Collasso? Buona regola è la “tecnica” latouriana del “non siamo mai stati moderni” declinata qui come retroazione del crollo: “c’era già, il collasso, era lì sotto il naso di tutti, semplicemente non ce ne siamo accorti“. E questa realizzazione dovrebbe in qualche modo farci rileggere il prima per capire il dopo che si sta preparando. Ma non funziona. Jared Diamond ci ha scritto un libro, Collasso, proprio per tentare di capire perché noi e altre decine di civiltà siamo arrivati troppo tardi alla comprensione del “è troppo tardi”. Tuttavia invocando inerzia, pigrizia, miopia, stupidità, negazionismo o inintelligibilità e antintuitività degli iperoggetti, il problema rimane identico a sé stesso: farsi carico del rischio non è nella nostra natura, fino al punto che preparare una dispensa per il lockdown prima che sia dichiarato il lockdown è percepito da quasi tutti come un nonsenso rischioso più che scommettere 1 a 5 contro un virus con Rt 1,7.
Come dovremmo reagire, allora, e perché? Frenare a 40 a l’ora mentre si sta per sbattere contro un muro è meglio che andarci dentro a 100. Ma c’è solo un modo per evitare il calcolo distanza/velocità/frenata/tempo/casualità che manda in tilt praticamente chiunque. Cioè aprire la portiera e buttarsi fuori dalla macchina. Per farlo bisogna avere il mindset dello stuntman, cioè un’attitudine quasi automatica all’acrobazia plateale. Un vero e proprio salto mortale cognitivo che non è un ragionamento articolato in tutti i suoi passaggi ma è una scorciatoia intuitiva, ma di segno contrario, proprio come quella di chi preferisce negare il rischio pur di non agire fuori dagli steccati dell’abitudine. Questa “soluzione drastica” non è solo un dono innato, chiunque può esercitarsi a riconoscere negli eventi la “puntura” dietro la nuca che ci avverte che è “adesso proprio urgente muoversi”. Un esercizio che somiglia più al riflesso dello schermidore o del tennista che si muove anticipando ciò che ancora non è accaduto. Ovviamente si può sbagliare, i falsi positivi sono sempre possibili, anzi, probabili, ma a volte è molto meglio spaventarsi per uno stecco sul sentiero che pestare la vipera canticchiando la vispa Teresa. C’è un alternativa, la comprensione dei flussi del determinismo: capire l’inerzia. Dei sistemi complessi, delle società al collasso, di quella forza che causa resistenza ai comportamenti e alle azioni non abitudinarie.
Ecco una profezia dal passato: ora, adesso, non siamo i figli di Prometeo e tutto il vaso di Pandora è nella testa di suo fratello, Epimeteo, colui che pensa dopo. Piccoli titani si sono svegliati, lo hanno sempre fatto. Gli altri, ricordi ancestrali dell’ordine superno, arriveranno con la definitiva cessazione dei benefici civilizzatori dell’Olocene. L’unico vero lusso, qualcosa di inattuale e nevrotico, è pensare dopo.
In questo senso pensare a giugno che è il tempo giusto per preparare la dispensa per novembre, prevedendo un nuovo lockdown, è la cosa più ripida e antieconomica, psicologicamente, socialmente, che si possa immaginare in mezzo al clima euforico dell’estate carnevalesca e liberatoria che sta per cominciare. Ma la tecnica per riuscirci non è quella della formica in mezzo alle cicale, è lo shot di tequila quando sai che lo shot precedente era proprio l’ultimo che avresti retto. L’ultimo sorso di normalità ha fatto subito dimenticare bagordi e imprudenze. Al mattino ci sono due alternative: raccontarsi storie o prepararsi, essere scaramantici o responsabili. La seconda richiede impegno, più gravoso se ci si continua a raccontare storie rassicuranti. Una di queste storie per esempio ha lo stesso valore intellettuale e attuale del “perché andare nello spazio quando i bambini muoiono di fame?”. Il mix incapace di piano emotivo e complessità non risolve problemi, il confondere i piani tra allocamento delle risorse e proposte etiche da salotto sono tare del pensiero opportunista.
L’hoarding di beni, in quanto profezia autoavverante di penuria, è da condannare come pratica non etica. Quanto alla dispensa d’emergenza, ponderata, prima immaginata e studiata poi messa in esecuzione, non è pratica nuova e ha invece una strutturata tradizione: è nei consigli di protezione civile di tutti i paesi del mondo.

Protezione Civile della regione Toscana
Autosufficienza, citizen prepardness, protezione familiare a catastrofi e disastri prevedono già, e da tempo, che ogni famiglia e individuo sia preparato. Non serve speculare su quanto fosse vicina una guerra nucleare negli anni del bunkerismo civico negli Stati Uniti come, in maniera minore e quasi clandestina, in Europa. Ieri la dispensa d’emergenza era già una forma di dovere civico, oggi, con il pericolo attuale di avere ammalati da assistere in casa, è anche parte di una strategia altruistica il cui beneficio si estende immediatamente fuori dal nucleo familiare direttamente interessato. Insieme a uno strano benefico effetto che ogni illusione di controllo e gestione del rischio futuro dà -preparati al peggio, spera per il meglio – ogni I care ha questo effetto diffuso: posso prepararmi, risorse della comunità andranno a chi è in stato di bisogno maggiore. Proprio il contrario del pensiero minuto – e scaramantico – che una spesa d’emergenza ponderata, dilazionata, previdente (non quella fatta all’ultimo minuto dopo code interminabili e tra scaffali semivuoti) toglierebbe risorse a chi non può. La mente di Epimeteo trova sempre scuse per sbadataggine e incapacità di programmare, e la più squallida di queste scuse è proprio invocare la condizione di chi “non può”. Ma un momento: in che modo l’esistenza di chi purtroppo non può prepararsi per scarsa o nulla disponibilità economica esime chi potrebbe da prendersi una responsabilità verso sé stessi e verso gli altri? Quale magica fratellanza sociale trasformerebbe la mia inazione pigra e menefreghista in migliori condizioni economiche per gli indigenti? L’argomentum ad capitalismum somiglia in troppi casi a un’ipocrita scappatoia per vigliacchi.
Ma veniamo al dunque. La dispensa perfetta costa un sacco di soldi, dai 2500 ai 5000 euro a persona per un anno, ma è pensata per includere tutto, cioè in previsione di un collasso totale della filiera alimentare. Qui stiamo parlando di una dispensa di emergenza per 10 giorni per due persone, 2.500 calorie al giorno a testa (adulti), 1.5 litri di acqua minerale al giorno. Legumi e riso sono perfetti in una composizione di spazio occupato/calorie/costo. Stando attenti alle offerte, non privandosi di nulla che piace, il tutto ha un costo inferiore ai 10 euro a persona al giorno, tutti i pasti, completi. Ecco che il range di spesa varia allora dai 70 a 160 euro per 10 giorni. La dispensa di emergenza non è solo alimentare: prodotti per l’igiene, assorbenti, carta igienica. Esistono molti siti che spiegano in dettaglio cosa prendere e in quale quantità (noi non mettiamo link perché trovare il migliore o il più adatto alle vostre esigenze fa parte del processo di preparazione.). L’extra budget dilazionato in più settimane è minimo e comunque si stanno acquistando prodotti che si useranno se avanzati anche a emergenza finita: pago ora ma risparmio dopo. In questo c’è da aggiungere il bonus contro la paura, qualcosa che allontana il panico nell’evenienza di non poter uscire (magari i supermercati sono aperti ma voi siete in quarantena perché in famiglia c’è un positivo non grave). Su una borsa già pronta per un ricovero, scenario sempre più ragionevole, discuteremo in seguito, ma il bonus emotivo è lo stesso: al cosiddetta peace of mind. Contemporaneamente si tratta di risparmiare in tempo, esposizione pubblica, denaro. Perché sì, esiste anche il 3 x 2.
Se dunque qualche borghese amante a parole degli indigenti vi dice che tuttavia tanta gente non arriva alla fine del mese e non può permettersi il lusso capitalista e immorale di prepararsi una dispensa, non sta a voi spiegargli i conti della serva o la fallacia logica del suo argomento. Potete semplicemente mandarlo a quel paese. Consolatevi pensando che avere una piccola dispensa pronta non solo è previdente ma è etico.