Vestibolo temporale
Proviamo a immaginare di essere nel 2150. I capodogli non esistono più da almeno un secolo. Proviamo a immaginare adesso di leggere Moby Dick nel 2150. L’animale anatomico e metafisico, le descrizioni d’etnografia marinaresca e di etologia, l’epica uomo-mostro, hanno perduto per sempre il loro referente narratologico, il fulcro immaginativo, l’oggetto. Capire che cosa significa leggere Moby Dick prima o dopo la scomparsa dei capodogli può farci apprezzare che cosa significa scrivere nell’Antropocene. Ci troviamo insomma nell’epoca mediana tra il pre e il post, e il punto veramente cruciale è individuare immagini-guida (come animali-guida) che facciano da icone, ipostasi, punti geodesici, tag di questo nostro mesolitico attuale. La questione è cruciale perché anche Melville ha potuto inchiodare sulla pagina un’epoca di passaggio grazie a una costellazione di immagini: una locanda, una chiesa-nave, un selvaggio tatuato, un vecchio pazzo bruciato da un fulmine, una ciurma shakespeariana, una balena, una bara galleggiante. Il plot del libro è quasi un pretesto, peraltro rubato a Owen Chase, ma le immagini e le loro declinazioni, le architetture immaginifiche di teste di balene svuotate a colpi di secchio, di abissi-nursery con le balene madri e i piccoli galleggianti come in un graffito di arte rupestre, l’arpione che si avvita come un cavatappi nella cotenna del mostro, i ramponieri nascosti come cavalieri dell’apocalisse, sono il libro e sono il limen consapevole oltre il quale inizierà l’America davvero moderna. Dopo una indeterminata epoca eroica di viaggi attorno al mondo, una nuova era di ispettori doganali e scrivani. In questo senso, forse solo in questo, Moby Dick è un libro etimologicamente apocalittico, perché ha saputo esprimere un’idea fondamentale: tra il pre e il post non c’è il meso, ma l’eso, l’uscita dai confini rassicuranti del canone della letteratura coeva, dai discorsi su voce e stile, dalle prospettive di successo, dal romanzo storico-borghese. Durante la vita residua di Melville, cioè per altri quarant’anni dalla pubblicazione, il libro vendette meno di 3200 copie per un totale di circa 1200 dollari di diritti, nell’imbarazzato silenzio della scena letteraria newyorkese.
Progetto collettivo
Oggi però non si tratta di sentirsi postumi o di rinunciare al mondo, ma di rovesciare a proprio vantaggio l’irrimediabile collasso che caratterizza ogni passaggio d’era. Si tratta insomma di delocalizzarsi mentalmente in un domani abbastanza lontano per giudicare la propria storia, i propri personaggi, la geografia del proprio mondo fittizio, e valutare così dal bordo della mappa la contemporaneità futura del proprio lavoro di scrittrici e scrittori. Occorre cioè inserire nella riflessione narratologica un’oscillazione temporale in bilico tra anacronismo e inattualità, uno sguardo da sopra la spalla verso il proprio presente come se fosse già finito, uno spietato no alla cronaca. Ma come fare? A quali testi affidarsi? Il mondo senza inverno sta per arrivare. Cambieranno i paesaggi e cambieranno le metafore. Il gelo, il ghiaccio, il freddo non saranno più costellazioni di immagini sensibili, verranno a poco a poco dimenticate. Forse perderanno il loro potere simbolico negativo, forse diventeranno addirittura dei luoghi della nostalgia. Che cosa sarà l’inverno-capodoglio nel 2150? E dopo? HIEMARIUM è un doppio progetto collettivo: una self-school per allenare l’immaginario scrivendo e un libro a molte mani lanciato come una capsula del tempo verso il 2150. I due progetti si intersecano, il primo prepara l’altro, il secondo dà forma al primo. La scrittura (come il disegno, la danza e altre pratiche dell’immaginario) non sono il privilegio di una élite, non si praticano solo per vincere premi o allestire una carriera. Sono esercizi mentali e corporei per restare in uno stato di veglia, per passare dalla veglia alla visione, per non essere macinati da chi gira le ruote. Scrivere si può imparare da soli: HIEMARIUM è dunque un esercizio di auto-formazione collettiva che, nella pratica della lettura e della metacognizione, ha lo scopo di isolare frammenti testuali esemplari, accompagnati da un micro-commento che chiarisca perché sono utili e come vanno usati. Ogni frammento è un utensile per imparare a scrivere, come il modello da disegnare per il pittore, come il gesto o il passo da imitare nella danza. Ma ogni frammento è anche destinato al lettore del 2150, per dargli qualcosa che non esisterà più (visioni, mondi, luoghi, animali, comunità, mostri, cibi, volti, piante…) e per dargli soprattutto delle istruzioni pratiche su come immaginare. Un toolkit per affrontare il mondo senza inverno. L’idea è raccogliere 500 di questi frammenti e accompagnarli con 500 commenti. Assieme diventeranno un libro intitolato HIEMARIUM, un oggetto da confezionare in modo resistente, nei materiali, nel design, nella grafica, perché possa sopravvivere fino al 2150 e oltre.
Narratologia Obscura
Per come lo stiamo immaginando, HIEMARIUM sarà un atlante narratologico proiettato verso il dopo. I suoi luoghi saranno zone nebbiose, relegate ai bordi della mappa letteraria e sociale. Potrà includere un frammento narrativo che illustra un esopredatore tentacolare in bilico su più dimensioni, una poesia cinese del X che fotografa la sosta in una locanda, la descrizione anatomica del volto-paesaggio di uno zombie, un brano di battaglia da Guerra e pace o un assedio in Procopio di Cesarea, un verso del Beowulf, un meme in rete, un passaggio sulle origini delle ofioliti da un manuale di geologia… L’importante è che si tratti di un testo che intercetti contemporaneamente tre bisogni: fissare un’immagine-guida, servire come modello allo scrittore, raccontare qualcosa di noi al lettore del 2150. Chi vuole partecipare al progetto, in maniera impersonale e gratuita, può cominciare a pensare di fare tre cose: A) scegliere cinque frammenti da salvare non più lunghi di 2000-2500 battute ciascuno (spazi inclusi); B) rileggere/riscrivere i frammenti più volte per capire come funzionano davvero, dandosi tempo, facendosi accompagnare da essi nei mesi a venire; C) scrivere per ogni frammento un commento di 1000 battute al massimo che spieghi il funzionamento e la sua importanza narratologica. Ecco un esempio:
“Esisteva Eru, l’Uno, che in Arda è chiamato Ilúvatar; ed egli creò per primi gli Ainur, i Santi, rampolli del suo pensiero, ed essi erano con lui prima che ogni altro fosse creato. Ed egli parlò loro, proponendo temi musicali; ed essi cantarono al suo cospetto, ed egli ne fu lieto. A lungo cantarono soltanto uno alla volta, o solo pochi insieme, mentre gli altri stavano ad ascoltare; ché ciascuno di essi penetrava soltanto quella parte della mente di Ilúvatar da cui proveniva, e crescevano lentamente nella comprensione dei loro fratelli. Ma già solo ascoltando pervenivano a una comprensione più profonda, e s’accrescevano l’unisono e l’armonia (J.R.R. Tolkien, Il Silmarillon, 1977).
In questo frammento è contenuta un’intera cosmogonia alternativa. Invece di rappresentare acque e terre, cieli ed inferi, l’autore pone al centro la voce, il linguaggio, la musica. L’universo nasce dal canto polifonico degli dei e sostituisce all’idea di cosmo visibile l’idea di un cosmo sonoro. Il cosmo come racconto, il racconto come cosmo”.
Avvertenza
HIEMARIUM, al contrario di TINA e DRAUMAR, vuole contare sull’esperienza maturata da tutte e da tutti in questi mesi di lavoro collettivo: invece di dare da subito delle griglie troppo rigide rimarrà aperto ancora per qualche tempo a suggerimenti sulla struttura del progetto. Noi abbiamo le idee molto chiare, ma vogliamo intrecciarle con le vostre. Ormai sapete come contattarci.
Matteo Meschiari | Antonio Vena
Mi farebbe molto piacere partecipare a questo splendido progetto!
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Certo. Continua a seguire gli sviluppi e contribuisci al progetto. Puoi contattarci su messenger o via mail.
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Ciao, dopo aver seguito Tina “dall’esterno”, mi piacerebbe partecipare direttamente a questo progetto, su cui mi trovo molto in sintonia…Grazie!
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