Misantropocene. Cose che restano da fare.

Le 24 tesi sul #Misantropocene di Joshua Clover e Juliana Spahr (e qualche appunto)

#Misanthropocene. 24 Theses (2014) di Joshua Clover e Juliana Spahr è uno strano testo: ambiguo, divergente, a tratti sopra le righe e caciarone – perfino manesco, in apparenza – ma sempre di grande forza e lucidità. Si muove in modo anfibio tra mis-antropocene e mis-antropologia – secondo l’eccellente analisi di Corey Wakeling per Southerly che si può leggere qui – puntando verso l’improbabile, ma con ogni probabilità urgente, creazione di un manifesto politico per il Mis-Antropocene e fornendone, innanzitutto, le preliminari basi maieutiche.

Si tratta, dunque, di un testo filosofico, ma anche molto pop – o meglio, è espressione di una cultura pop della quale si esplorano, en passant, i limiti politici, non avendo, in realtà, nulla a che vedere con un’operazione come ad esempio quella di Grimes/c con il recente disco Miss Anthropocene (già abilmente analizzato, mesi fa, da Riccardo Papacci, qui, per Not).

E poi, tra le impressioni ricavate dalla mia prima lettura, nell’estate 2020, ricordo questa, in particolare: se il testo fosse una pagina Facebook, si potrebbe intitolare “Soluzioni punk per sopravvivere a questa fase dell’Antropocene”.

Era una prima impressione e come tale, ovviamente, del tutto sbagliata. Del punk, ad esempio, il testo adotta solo uno stilema, portato allo sfinimento: nel giro di poche pagine, ci sono 40 fuck, 40 sonori “vaffanculo”, che rendono in modo perfetto una certa attitudine misantropica (e sconfinante, talvolta, verso i territori del populismo) che può essere considerata tipica dell’Antropocene in questa sua fase di decadenza; d’altra parte, questo stilema va sempre di più a diradarsi, per poi sparire nei pressi della conclusione, rivelando come il testo intenda portare da tutt’altra parte.

Soprattutto, il testo non presenta alcuna soluzione e, se c’è, non è quella della mera sopravvivenza. Difatti, oltre a non fornire, nelle 24 tesi, una descrizione del Misantropocene o dell’Antropocene – ormai inutile, per un termine definitivamente entrato nel dibattito accademico e culturalei – le 24 sezioni del testo sono prescrittive soltanto in superficie. In altre parole, le 24 tesi non possono essere usate come vere e proprie istruzioni per una politica del Mis-Antropocene, ma hanno lo stesso la qualità di manifesto nell’evidenziare il gap tra una politica misantropica – basata sul risentimento, come sostiene Wakeling – e una nuova elaborazione collettiva, sempre implicita, ma che parte dalle basi misantropiche e misantropologiche del disgusto, afferma sempre Wakeling, per quelle “traiettorie antropoidi del progresso rispetto alle quali l’antropoide si considera, in modo narcisistico, al centro”, che risultano pienamente destrutturate dalla relazione dialettica con un ambiente non-human.

C’è qualcosa di più, dunque, dell’imperativo plastic free “allo scopo di salvare il pianeta” o dell’ingiunzione a non considerare in modo narcisistico e/o risentito la propria posizione all’interno della situazione pandemica: queste prescrizioni devono poter funzionare in un contesto più allargato, come quello che può essere attivato, a livello immaginario, dalla poiesis, dal “fare” che è costitutivo della parola poetica e, a livello pragmatico, da un testo nato per la performance – la prima lettura è avvenuta a Oakland, California, nel 2014 – e che chiama costantemente in causa gli autori e il pubblico: talvolta come entità separate, talvolta come we, “noi”, qui e ora.

Prove di creatività diffusa, dunque, in un giocoso rapporto con l’avanguardia e gli studi accademici sulle avanguardie, ma anche di rimessa in gioco di una intellettualità che non si spende interamente nella descrizione/prescrizione dei fenomeni. A questo proposito, e qui sta una delle possibili chiavi di volta del testo, alcune delle tesi mettono costantemente in scena le condizioni materiali della produzione del sapere nei campus americani, coinvolgendo tanto docenti, studiosi e poeti come Joshua Clover e Juliana Spahrii quanto i loro studenti, spesso strangolati dagli student loans dei college statunitensi.

Del resto, tra le cose che restano da fare, dopo la lettura di #Misanthropocene. 24 Theses, vi è anche un sano esercizio di materialismo – mis- o post-antropocenico che sia.

Estratto (nona tesi):

[…] Fanculo la Rivoluzione Francese il concetto di quintile il Burning Man Festival “L’Inghilterra è una nazione di calzolai” la Letteratura con la L maiuscola e gli abitanti di Passy. Fanculo la sostenibilità di Whole Foods la Piketty-mania del 2014 per i tipi della Harvard University Press l’indie rock e Fight Club. Fanculo la polizia di vicinato. Fanculo il post-strutturalismo la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani il banjo rock. Fanculo il meta-commento auto-riflessivo alle critiche del banjo rock. Fanculo i cupcakes e/o Park Slope fanculo il martini fanculo il tuo tavolino Noguchi Coffee fanculo la crisi delle discipline umanistiche la tazza di Chipotle di Jonathan Safran Foer le case di proprietà l’HBO e fanculo la pedanteria di chi spiega che “la borghesia” è un concetto che non si può applicare alla struttura di classe degli USA a nessuna delle sue parti. […]

La traduzione italiana del testo di Joshua Clover e Juliana Spahr, #Misantropocene. 24 tesi, è una pubblicazione autoprodotta dalla libreria Modo Infoshop di Bologna (collana Fotocopie n. 29, 2020).

i Di certo, il #Misanthropocene di Clover e Spahr ha poco a che fare con quel “misanthropocene” che pure è entrato in uso nella gergalità accademica, a partire da questo breve articolo di Raj Patel, del 2013. A segnalarlo, in modo decisivo, è l’hashtag che precede la versione di Clover e Spahr, una sorta di sottolineatura ironica della pertinenza e insieme dell’estraneità delle loro posizioni rispetto a determinate vulgate e alla loro socializzazione (spesso soltanto social).

ii Della loro ingente produzione saggistica e letteraria, si ricordano soltanto due saggi che meriterebbero immediata traduzione italiana: Riot. Strike. Riot (Verso, 2016) di Joshua Clover e Du Bois’s Telegram: Literary Resistance and State Containment (Harvard University Press, 2018) di Juliana Spahr.

Lorenzo Mari

Qui il link per la versione in lingua originale

Immagine: Checkpoint di Alex Tornberg

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