Sarah Smarsh in Heartland: al cuore della povertà nel paese più ricco del mondo affronta faccia a faccia tutti i pregiudizi sui cosiddetti rednecks, gli uomini e le donne di fatica senza privarli della loro dignità: l’autrice si occupa di raccontare tutta la storia, non solo una parte. Per fare ciò ha trovato una propria voce, originale e un espediente narrativo suggestivo.
In Heartland, Sarah Smarsh, fornisce una descrizione bruciante del caos totale che comporta l’essere poveri e vivere ai margini in uno stato come il Kansas, terra di contadini e di lande sperdute che per la maggior parte degli americani corrisponde al nulla.
Il libro prende il via attraverso un dialogo immaginario fra l’autrice e, August, sua figlia immaginaria, alla quale l’autrice cerca di spiegare “cosa significhi essere un bambino povero in un paese ricco fondato sulla promessa di uguaglianza”. Quella promessa, ha molte meno possibilità di essere realizzata in seno alla sottoclasse americana stanca, povera e annichilita dal duro lavoro nei campi. August sembra quasi essere l’alter ego di Sarah Smarsh, che la costringe a un rigido autocontrollo in merito a qualsiasi decisione sbagliata o errore che potrebbe obbligarla alla stessa sorte delle altre donne della sua famiglia: diventare madri giovanissime e spesso single e fare la fame.
A volte il libro sembra il memoir di una famiglia di agricoltori del Kansas che lotta per rimanere a galla, altre appare come una critica sociale della struttura economica americana.
Non avendo mai abbastanza denaro per stare al passo, i membri della famiglia Smarsh arrancano per evitare in tutti i modi la rovina finanziaria, cercando di sopravvivere al crescente costo della vita in America.
La povertà, come la descrive Sarah Smarsh, riguarda non solo la scarsità di denaro, ma una collisione di eventi e conseguenze che getta i poveri in uno stato di continua agitazione e asservimento.
L’autrice racconta, senza fare sconti, del duro lavoro che i suoi antenati affrontano nella fattoria di grano del Kansas in cui è cresciuta o nelle fabbriche, nei ristoranti e nei cantieri della cittadina di Wichita. Molti svolgono più lavori per mantenere i propri figli, è il caso delle donne del ramo materno della famiglia di Sarah.
Le persone più vicine a Sarah soffrono di vari tipi di dipendenze per far fronte allo stress, al pensiero delle bollette da saldare e delle spese insostenibili da onorare. Tabacco, alcol, gioco d’azzardo, droghe e relazioni abusive e disfunzionali provocano a vari membri della famiglia problemi di salute fisica e mentale, insieme a veri e propri rischi di incolumità per le donne che hanno spesso a che fare con uomini violenti. La penuria di denaro relega le famiglie povere in alloggi improvvisati o inferiori agli standard, distretti scolastici con prestazioni insufficienti e cattiva alimentazione. E il conflitto costante si traduce in vergogna, esaurimento, disperazione, depressione e violenza. Per la maggior parte di loro, non ci sarà scampo da questo ciclo di povertà.
È qui che fin da giovane Sarah prende la sua decisione. Non perpetuerà il circolo vizioso delle gravidanze indesiderate portato avanti da sua madre e dalle sue nonne. Sarà lei a spezzare la catena, a guarire il destino guasto delle donne che l’hanno generata.
Per questo decide di raccontare la sua storia, senza tralasciare alcun dettaglio a August, la bambina che lei ha già deciso che non metterà mai al mondo. Grazie alle sue doti, grazie alla frequenza di corsi per ragazzini intellettualmente molto dotati, a poco a poco, pur arrivando a cambiare 8 scuole in un anno, Sarah inizia a porre le basi del suo affrancamento.
Pur amando la nonna che l’ha cresciuta e la madre che non si è mai occupata di crescerla, Sarah decide di staccarsi dai suoi familiari, arriverà a fare più di un lavoro pur di pagarsi il college e di realizzarsi senza dover essere costretta a chiedere nulla alla sua famiglia.
Il suo atteggiamento non è mai giudicante ma lucido, la sua penna asciutta ma pervasa di lirismo ci consegna il ritratto di uno spaccato di società rurale invisibile ai più e al contempo ci racconta le profonde ingiustizie di un sistema di assistenza sociale e di sussidi così complicato e pervaso di burocrazia da essere spesso inaccessibile a coloro che ne hanno maggiormente bisogno.
Le sue prime inchieste, una volta laureata, si occuperanno proprio di questo aspetto.
Sarah Smarsh analizza senza pietà il sistema economico americano basato sul progressivo indebitamento a tassi di interesse da usura che arriva a minare sempre più spesso il bene più ambito e prezioso per un nucleo famigliare, la propria casa.
Non è un caso se, una volta adulta, dopo aver acquistato una bella casa coi dei meraviglioso soffitti in legno molto particolari, accorgendosi che molte persone più benestanti di lei, la ammirano con invidia, pensando di non meritarla, arriva a giustificarsi, dicendo che l’ha pagata una miseria. Sembra così quasi voler rimarcare il fatto che chi nasce povero, non meriti di fare strada e non possa permettersi cose che sono appannaggio esclusivo dell’upper middle class, alla quale per ovvi motivi lei non sente di appartenere, descrivendo il materialismo asfissiante dell’America e l’umiliante impossibilità di partecipare a una società dei consumi che si fatica a mantenere, ma non ci si può permettere di godere. Sarah Smarsh descrive un modello di emarginazione mirata, di umiliazione e criminalizzazione dei poveri che li lascia indigenti, incapaci di anticipare i costi della vita in una “società libera” e pubblicamente umiliati per quel gap incolmabile.
I personaggi della vita reale del libro di Sarah Smarsh aggiustano le nostre tubature, servono ai nostri tavoli, coltivano il nostro cibo. Sono gente dura, resiliente, semplice che considera “il sistema” nient’altro che un meccanismo che li mastica e li sputa fuori. E fintanto che li considereremo personaggi subalterni meritevoli del loro destino, continueremo ad alimentare un circolo vizioso che vede la rabbia come unica alternativa.
Heartland getta uno sguardo intransigente sulla società, l’identità e i pericoli di avere meno degli altri in un paese noto per i suoi eccessi.
La voce di Sarah bambina è la più schietta e disincantata dell’intero libro perché con occhio acuto coglie le disarmonie presenti nel contesto in cui vive, come se le osservasse da un punto esterno rispetto a sé e consegna al lettore delle immagini indelebili legate a un’infanzia assolutamente sui generis ma dalla quale, pur non rinnegandola mai, riuscirà ad affrancarsi, salutando per sempre anche August, l’interlocutrice cui ha consegnato una storia di altissima qualità, di una schiettezza disarmante e di raro acume.
Francesca Maccani
Heartland al cuore della povertà nel paese più ricco del mondo. Black Coffee. Traduzione di Federica Principi, casa editrice Black Coffee
L’ha ripubblicato su Downtobaker.
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