A UN PASSO DAL SOGNO NERO

I VIAGGIATORI DELLA SERA, DI UGO TOGNAZZI

Sulla prima pagina di La Notizia campeggia il titolo del giorno: Voto a 13 anni. Uno dei cartelli di propaganda sulla metropolitana ci avverte che siamo in troppi. La scenografia ci fa sentire nel futuro, raddoppiando anzitempo il circuito sinistro dell’anticipazione visto I viaggiatori della sera, il film di Ugo Tognazzi tratto dal romanzo di Umberto Simonetta, è ambientato a Milano 2. Dai microfoni della sua radio, Orso Scoppiato lancia la sua ultima invettiva contro il mondo che lo circonda. Una rabbia ruvida, come il suo linguaggio, che esprime tutta l’autenticità di cui è capace, come puntualizzerà poco dopo al funzionario governativo che prenderà il controllo della radio che, dal giorno dopo, trasmetterà solo messaggi di pubblica utilità.

Pisciare è più vero di urinare. Tu hai l’ano, io ho il culo. Tu copuli, io scopo.

Tanta verace energia per gridare nel vuoto. Sì, perché Orso Banti, disc jockey di successo, ha compiuto 49 anni e ciò implica che insieme alla moglie Nicky, titolare di una rubrica con un discreto seguito su un giornale femminile, deve andare, volente o nolente, in vacanza. I figli, zeloti del risparmio, della produttività e del contegno monastico, accompagnano i recalcitranti genitori, gaudenti alla moda e amanti del superfluo, al villaggio turistico dove, ogni sera, si tiene un gioco con in palio una crociera per i vincitori. Ogni sera qualcuno salpa, nessuno è mai stato visto tornare. Orso la prende di petto, Nicky la prende con filosofia dandosi alla promiscuità con gli altri villeggianti e con lo staff del villaggio, come suggerito dalla direzione, finché può.

Non ho voluto parlare di una lotta tra generazioni. Io e la Vanoni nel film siamo due giovani di oggi trasportati in uno di possibili domani. Difatti vestiamo Fiorucci e ci esprimiamo nel gergo dei ragazzi che si vedono in giro adesso. Ma ci capita di compiere cinquant’anni in una società diversa da quella attuale, in cui lo sviluppo ha dimostrato tutti i suoi limiti. Quindi il potere ha deciso che bisogna spremere al massimo gli uomini nel momento in cui hanno più energie da spendere ed eliminarli quando potrebbero cominciare a riposarsi sugli allori. In questa società tutto è razionalizzato e disumanizzato al massimo, ma il potere, accortamente, si è messo una maschera rassicurante, quella dei giovani. Io ho cercato di fare, e non so se ci sono riuscito, un film contro l’assurdità del potere…

Sono lucide, le parole di Tognazzi, ma non ci ha visto del tutto chiaro. Perché la narrazione strisciante della lotta fra generazioni dal ’79 ha avuto modo di crescere nutrendosi delle pulsioni eliminazioniste, al pari di altri racconti velenosi del mondo, fino a diventare uno dei sogni neri di una generazione che non ha tutti i torti quando sente che qualcuno, in qualche modo, glie l’ha messo nel culo. Perché non è mica falso, che a chi oggi è giovane si prospetta un futuro meno sicuro, meno stabile, più sinistro, meno confortante da troppi punti di vista. Generazioni progressivamente deluse e dimenticate. Lasciate in quegli angoli dove crescono i sogni neri. Dove le narrazioni tossiche trovano il nutrimento per far saltare i patti di solidarietà come quello generazionale che vanno a ledere la trama immateriale su cui è costruita una società in cui non si dovrebbe aver paura di vivere.

Se per domani ci sono immagini di cui disperatamente abbiamo bisogno, immagini che dobbiamo assolutamente trovare, ce ne sono altrettante velenose che, al contrario, non dobbiamo assumere se non come un farmaco o, tanto per fare incazzare qualcuno di un vaccino.

Stefano Tevini

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