A bordo mare

Momenti che meritano una ritualità. Per la lettura della prima traduzione italiana di The Edge Of The Sea di Rachel Carson – da oggi in libreria1 – ho riservato ampie ore salmastre, portando sui cigli di colmata le onde delle coste atlantiche a incontrare il respiro pigro della laguna adriatica.

Ultimo della sua “trilogia del mare”2, il testo del 1955 consolida la postura rigorosa della scienziata, lo sguardo della bambina in esplorazione e il timbro poetico della cantadora che daranno corpo, nel 1962, a Silent Spring. Soprattutto, struttura il suo metodo di osservazione delle variazioni anche infinitesimali di luoghi esseri e fenomeni, che prefigurano incipienti catastrofi e la concatenazione di vittime che si dipana fino ai Sapiens.

In questo saggio, la latitudine cammina dalla Florida meridionale a Cape Code, sconfinando a nord verso Labrador, Groenlandia e Terranova. La longitudine è invece dominata dalle grandi correnti atlantiche, dai venti e dai vortici massivi che vi si generano, dai loro colpi trasversali contro le coste. Mentre il risucchio cosmico della Luna ritmicamente imprime un movimento altitudinale ai fluidi terrestri. Questi immani sistemi si intrecciano in prodigi ecotonali che catturano l’istinto all’incanto dell’autrice: le linee di marea, i mondi di confine, fasce ricchissime, diversificate, cangianti.

La dimensionalità morfologica – descritta nella sua orogenesi e nel suo divenire – però non basta, né basta aggiungere il fattore tempo, di stagioni, cicli mareali, periodi geologici. C’è dell’altro. C’è il misterioso movimento generativo di questo enigma caleidoscopico che si chiama Mare-Vita e che per Carson è “il senso della creazione”: da quel ribollire ogni essere è emerso, si è evoluto, moltiplicato, spostato, vi fa ritorno, poiché per lei tutto si muove da e verso il mare.

“…arriviamo a percepire la vita come una forza tangibile al pari di tutte le realtà fisiche del mare, una forza potente e determinata, impossibile da soffocare o deviare proprio come lo è una marea montante. Contemplando la vita brulicante sulla costa, abbiamo l’inquietante sensazione che ci venga comunicata una qualche verità universale, al di là della nostra comprensione.” (p. 322)

Il groviglio combinazionale di queste pulsazioni definisce quelle che Carson chiama “zone di vita”, le fasce intertidali – tra i punti di massima e minima marea – dove acqua e terraferma si meticciano, dove legioni di esseri “fanno casa”. Aree scrutate e spiegate nei loro complessi avamposti costieri rocciosi, sabbiosi e corallini. Vita mai disgiunta dal protagonismo degli elementi e dei loro punti di contrasto agentivo in cui plasmano impensabili mondi e la vita che li abita. Orografie multispecie, dove minerale, atmosferico e biologico si fondono, i transiti tra i regni si assecondano; meteomondi in miniatura densi di piante-tentacolo, fiori-vesciche e animali-pietra.

La sua è quell’attitudine conoscitiva che ritroviamo in altri “naturalisti” – come Edward O. Wilson nel suo setacciare un metro quadrato di foresta pluviale3; o come fa Baptiste Morizot nel bosco, chiedendosi: “Chi abita qui? E come vive? Come fa territorio in questo mondo? In quali modi la sua azione impatta con la mia vita e viceversa? Quali sono i nostri punti di frizione, le nostre possibili alleanze e le regole di coabitazione da inventare per vivere in armonia?”4. Con lei incontriamo decine di specie di cui descrive minuziosamente habitat, corpi, ciclo di vita, abitudini, eccezioni, persino mutui sguardi e scaltrezze; moltitudini sorprendenti, eroiche e goffe, delicate e solidissime, minuscole e sovrapposte sono l’esito del divenire forgiante degli elementi nei processi del pianeta, vero zoccolo ontologico.

“L’acqua stessa è alterata – nella sua natura chimica e nella sua capacità di influenzare i processi della vita – dal fatto che certe creature abbiano vissuto in essa immettendovi sostanze in grado di indurre effetti di vasta portata. Il presente è dunque connesso al passato e al futuro, e ogni essere vivente è legato a tutto ciò che lo circonda.” (p. 67)

Soprattutto tocchiamo l’intricata, capillare rete di relazioni di “quell’entità che potrebbe essere distinta come Vita” (p. 19). Vita che, sì, assomiglia a un superorganismo, forse a un iperoggetto, ma mai astratto: sempre singolare e collettivo, sempre territorializzato e trans-contestuale.

“…la relazione di una creatura con il suo ambiente circostante non è mai questione di un singolo rapporto di causa ed effetto; ogni essere vivente è legato al suo mondo da molti fili intrecciati che formano il delicato disegno del tessuto della vita” (p. 39)

Ai “modelli di vita”, ovvero delle relazioni complesse, dedica il secondo capitolo. Modelli straordinariamente elusivi, mai interamente conoscibili, cui è possibile avvicinarsi solo con una “penetrazione intuitiva”: seguire quei fili, esplorare il film d’acqua che separa e tiene assieme due granelli di sabbia, contemplare il ciclo di terraformazione delle mangrovie. Cercando quella “struttura che connette” che Gregory Bateson pose al centro delle sue indagini: ”Quale struttura connette il granchio con l’aragosta, l’orchidea con la primula e tutti e quattro con me? E me con voi? E tutti e sei noi con l’ameba da una parte e con lo schizofrenico dall’altra?”5.

Inspiro la familiare palude salata di gronda, 550kmq di zona umida tra i fiumi Sile e Brenta, con i suoi delicati equilibri. Barene in disfacimento erosivo e velme fantasma, ghebi occlusi e motte superstiti. Guardo il futuro sottomarino e lesso di ecotoni tidali in rapida metamorfosi, l’avanzare del cuneo salino, la sorte rarefatta dell’amato Limonium selvatico – chissà se anche quest’anno fiorirà.

Già allora, Carson registrava i cambiamenti dovuti al surriscaldamento, segnalati sin dagli anni Venti del ‘900, seguendo gli spostamenti di flora e fauna:

“Questa nuova distribuzione è naturalmente correlata al diffuso cambiamento del clima […] un generale riscaldamento osservato dapprima nelle regioni artiche, poi in quelle subartiche, e adesso anche nelle aree temperate degli stati settentrionali.” (p. 50)

Corro per un attimo alla vicenda (purtroppo una tra le tante) di Niugtaq in Alaska che sta per essere definitivamente sommerso a causa dello scioglimento del permafrost: i residenti di Yup’ik, vicino al Mare di Bering, da oltre vent’anni si stanno preparando al peggio e ultimando il drammatico, ineluttabile trasferimento delle 21 famiglie e dell’intero villaggio6. Comunità umane – come foreste di kelp o popolazioni di granchi verdi, come banchi di aringhe o colonie di mitili – migrano, transitano, si dispongono altrove assieme ai loro habitat e habitus.

Come risponde la vita sottoposta a forze immense e contrastanti? A soverchianti cicli di pressione e trazione? Cosa fa in posti senza pace, instabili, mutevoli? Vive e basta. Dappertutto ad ogni costo.

Vive aggrappata, incuneata, seppellita, fluttuando, esposta e celata, interstiziale e tappezzante, eretta e prostrata, quiescente e attiva. Vive con e grazie a tutte le contraddizioni e i contrasti, tutti assieme simultaneamente. Vive costruendo, abitando, migrando, avanti e indietro, con gli elementi da cui è dominata e sostenuta. Vive le possibilità dell’impossibile cartesiano, inventando forme e stadi di crescita, evolvendo strategie e tecnologie, esattando organi e ritmi, occultandosi e svelandosi, rispondendo alle forze impetuose con il minuscolo, l’esile, il diafano, il delicato, il transitorio.

“…la vita esiste in strati, uno sull’altro; vita su altra vita, o al suo interno, o sotto di essa, o sospesa su di essa.” (p. 134)

In Carson le sazianti descrizioni – accompagnate dalle illustrazioni di Bob Hines – non hanno finalità didascaliche o tassonomiche: sono tattiche (che personalmente trovo militanti) di evocazione di meraviglia di fronte alla bellezza. Quella meraviglia nuda, spogliata di romanticismi o escapismi estetici, perturbante e allusiva della presenza di Eros. La reverenza di fronte all’enigma della differenziazione delle specie, alla compulsione immortale al divoramento e alla replicazione di milioni di miliardi di individui (che pensarli individui è persino assurdo). Dove, per dirla con Emanuele Coccia, tutto è un unica vita, che si trasmette da corpo a corpo7, l’eterna danza di Shiva.

Nel suo viaggio – che comincia dal ricordo della vita vivente e riflessa in una pozza inaccessibile di una grotta marina – Carson ci disloca sui margini, nelle periferie che prosperano nell’effimero dell’inversione ciclica. Ed è lì che, in epoche liminali come la nostra, dovremmo rivolgere l’attenzione: i crocevia tra i mondi dove da sempre tutto accade, dove sono immaginabili possibilità.

Quindi, sì, nell’urgenza dei collassi mi concedo di sostare, qui sulla linea di conterminazione lagunare, assieme alle parole alleate di Rachel Carson che, evocando inscindibili destini e comuni lignaggi tra i viventi, mi espongono ad antiche antropologie, spaccano gli universali. Mentre sono in corso estinzioni, mi serve ascoltare chi mi sprona, come Barry Lopez, alla pratica politica di “ascoltare gli aironi che schiamazzano attraverso lo stridio delle rondini che a loro volta sovrastano le grida del falco pescatore sotto il mormorio della passerella variabile” e mi avverte: “presta attenzione al mistero. Diventa apprendista dei migliori apprendisti. Riscopri la tua biologia dentro la natura. […] riconosci che una politica senza biologia, o una politica senza biologia sul campo, o una piattaforma politica nella quale i requisiti biologici umani non sono che un punto del programma, è una visione dei cancelli dell’inferno8.”

Rebecca Rovoletto


1 Edito da Aboca col titolo La vita che brilla sulla riva del mare. I numeri di pagina citati fanno riferimento all’edizione italiana.

2 Il secondo è Il mare intorno a noi, Piano B, 2019. Il primo, Under The Sea-wind non è ancora stato tradotto.

3 Edward O. Wilson, Biofilia. Il nostro legame con la natura, 2021, Piano B Edizioni

4 Baptiste Morizot , Sulla pista animale, 2020, Edizioni Nottetempo.

5 Gregory Bateson, Mente e Natura. Un’unità necessaria, 1993, Adelphi

6 https://www.nationalgeographic.com/science/article/climate-change-finally-caught-up-to-this-alaska-village Qui il docufilm realizzato da Patagonia Inc https://pat.ag/NewTokEU

7 Emanuele Coccia, Metamorfosi. Siamo un’unica, sola vita, 2022, Einaudi.

8 Barry Lopez, Una geografia profonda, 2018, Galaad Edizioni

Foto di testa di Jim Richardson

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