1.
Primo volume di una trilogia, Il problema dei tre corpi di Cixin Liu (Mondadori, 2017) è senza dubbio un’opera che richiede una lettura impegnata, non è il tipo di romanzo da portare in spiaggia, richiede tempi lunghi e concentrazione. Primo romanzo cinese a vincere un premio Hugo e a essere nominato per il Nebula, è senza ombra di dubbio un capolavoro.
La vicenda si apre al tempo della rivoluzione culturale quando l’astrofisica Ye Wenjie, protagonista del romanzo, assiste al massacro del padre da parte delle Guardie rosse. Successivamente viene incriminata per aver espresso idee basate sulla lettura di Primavera silenziosa di Rachel Carson e condannata al carcere. Durante la detenzione viene reclutata da due fisici militari per lavorare al progetto Costa Rossa, con l’obiettivo apparente di danneggiare satelliti spia occidentali, ma in realtà per collaborare a una missione segreta il cui fine è scoprire forme di vita extraterrestri. Molti anni dopo, Ye riceve un messaggio da un alieno di un pianeta chiamato Trisolaris, a cui non dovrebbe rispondere, ma avendo perso la fiducia nel genere umano replica nella speranza che gli alieni invadano il pianeta e pongano fine alla civiltà terrestre. Trascorrono alcuni anni, e ritroviamo Ye impegnata a collaborare con l’erede di un enorme patrimonio finanziario, che ha fondato una organizzazione ambientalista radicale segreta, la Earth-Trisolaris Organization (ETO), con base su una nave gigantesca, e che appoggia dalla Terra l’invasione delle forze armate di Trisolaris. La missione dei trisolariani, tuttavia, non raggiungerà il nostro pianeta prima di quattro secoli e mezzo. La vicenda si sposta al tempo presente, in cui un altro personaggio, un professore di nanotecnologia, si trova coinvolto in una indagine sulla morte di alcuni scienziati. Il professore inizia a giocare con un videogioco popolare, in cui i trisolariani costruiscono e lanciano navi spaziali per colonizzare la Terra, nella convinzione di potersi salvare dalla distruzione del loro pianeta. Il gioco è una simulazione di ciò che la ETO sta veramente realizzando, ma i trisolariani mandano sulla Terra dei supercomputer del volume di un protone chiamati sofoni in grado di causare allucinazioni. Alla fine, il professore collaborerà alla pianificazione di una strategia militare per contrastare l’invasione degli alieni.

Liu è un ingegnere informatico convertitosi in uno dei più prolifici e apprezzati scrittori di fantascienza a livello mondiale. L’andamento lirico della sua prosa trasporta il lettore in un mondo in cui gli vengono continuamente sottoposti problemi di fisica. Il titolo stesso del romanzo (e della trilogia) è derivato dal problema della fisica e della meccanica classica relativo al moto di Newton e alla legge di gravitazione universale. La vicenda narrata nel romanzo si pone all’intersezione fra la fantascienza tecnologica e la space opera, consentendo all’autore di costruire un mondo lontano dalla Terra ma allo stesso tempo di affrontare le principali problematiche relative alla vita su questo pianeta. Si tratta di un romanzo tutt’altro che facile da affrontare, che richiede da un lato dedizione al sottogenere della fantascienza e dall’altro interesse per alcuni punti nodali della storia politica e culturale mondiale. I numerosi riferimenti storici aprono a una riflessione vertiginosa sulla civiltà umana, sul suo impatto ecologico, sulle diverse forme di militanza, partecipazione e resistenza storiche e futuribili, raggiungendo quindi un picco di riflessione filosofica sulla stessa natura della presenza umana sul pianeta e sui motivi reconditi che ispirano il desiderio di autoannientamento.
Claudia Boscolo
2.
There is no antimemetics division è un romanzo del 2020 scritto da QNTM, pseudonimo di Sam Hughes. L’opera è ambientata nell’universo narrativo condiviso SCP Foundation (https://scp-wiki.wikidot.com), dove l’acronimo indica Secure, Contain, Protect (Mettere in sicurezza, Contenere, Proteggere). Questo è un progetto di scrittura collettiva che nasce sul web e al quale hanno contribuito decine di autori dediti a raccontare delle anomalie: esseri o manifestazioni che esulano dalle leggi naturali che regolano l’universo e che non possono essere spiegati, compresi o studiati attraverso la scienza tradizionale. La Fondazione si occupa di tenere sotto controllo le anomalie, mettendole in sicurezza, contenendole e, se necessario, proteggendo l’umanità da esse. Le anomalie possono assumere le forme più disparate: mostri, forme di energia sconosciute, antichi dei o oggetti di uso comune dotati di caratteristiche insolite e fisicamente impossibili.
Protagonisti del romanzo sono gli agenti della Antimemetics Division, una sezione della Fondazione specializzata nello studio e nel contenimento delle anomalie dotate di caratteristiche antimemetiche: qualunque cosa e evento che, direttamente o indirettamente, coinvolge o riguarda un’anomalia di questo tipo non può in alcun modo essere memorizzato, comunicato o trasmesso. La sua sola presenza genera amnesia e oblio riguardo tutto ciò che concerne l’entità stessa, comprese le informazioni che possono essere dedotte dall’assenza di informazioni. Gli agenti della Antimemetics Division aggirano il problema con l’uso di apposite droghe e tecnologie che, entro certi limiti, permettono loro di avere una cognizione almeno parziale delle anomalie con cui hanno a che fare.
In There is no antimemetics division troviamo al centro della narrazione l’anomalia identificata con la sigla SCP-3125. SCP-3125 è l’anomalia antimemetica definitiva, un “complesso di meme anomalo metastatizzato altamente aggressivo originatosi esternamente alla nostra realtà”. È un agglomerato di memeplessi talmente alieni che non solo la mente umana non è in grado di registrarli, analizzarli o comprenderli, ma i cui effetti sulla nostra realtà sono tali da cancellare i concetti stessi di umanità, civiltà, cultura e società dallo spazio fisico e dalla noosfera. SCP-3125 si sta manifestando e incarnando nel nostro universo ma, a causa del suo criptismo antimemetico, non possiamo averne percezione; qualora qualcuno se ne accorgesse, l’anomalia o una sua manifestazione eliminerebbero fisicamente la mente in oggetto e tutte quelle che direttamente o indirettamente hanno avuto a che fare con l’anomalia e che potrebbero quindi avere percezione della stessa.

Gli agenti della Antimemetics riescono a studiare e valutare in (una molto) relativa sicurezza SCP-3125 in alcune speciali stanze in grado di escludere il memeplesso anomalo alieno ormai diffuso in modo totale e capillare. In There is no antimemetics division è interessante notare quale sia l’approccio adottato dal think tank nel tentativo di combattere SCP-3125, a partire dalla classificazione adottata per essa. Alcuni esponenti della Foundation propongono di utilizzare la classe Apollyon, coniata appositamente per indicare un evento ineluttabile da cui non è possibile in alcun modo salvarsi. Alcuni degli esponenti della Foundation rigettano tale classificazione, in quanto considerata disfattista e lesiva del morale di chi dovrebbe combattere l’anomalia. SCP-3125, però, non può essere fermata: è un evento già in atto che lentamente e inesorabilmente progredisce nella sua opera di disgregazione della realtà per come la conosciamo e percepiamo. SCP-3125 non può essere fermata perché è già qui e le sue manifestazioni, anche se non percepite, sono in tutto l’universo. Il decidere di non assegnare la classificazione Apollyon all’anomalia è solo un non volere accettare la realtà dei fatti, illudendosi che sia possibile trovare soluzioni che possa risolvere un problema per il quale si sarebbe dovuto agire in passato, non a collasso iniziato. Punto focale dell’opera di QNTM è infatti l’inevitabilità della catastrofe e l’illusione umana di poter trovare una soluzione semplice a problemi complessi. Questo atteggiamento è quello che nella realtà ha portato all’attuale crisi climatica, virtualmente irreversibile e destinata ad aggravarsi. Se si vuole sperare che in futuro si possa in qualche modo sopravvivere in un mondo mutato, è necessario mettere in atto oggi soluzioni che permettano di limitare i danni e rallentare i cambiamenti (le “anomalie) in modo tale da potercisi adattare; non si può sperare di tornare indietro, il tipping point è stato raggiunto e superato. Se non ci saranno nuove idee a sconfiggere quelle vecchie, Homo sapiens potrebbe non riuscire ad adattarsi al collassato nuovo mondo di sua creazione. L’unica “soluzione” percorribile diviene quindi la limitazione dei danni, sperando di sopravvivere per un’eventuale, futura ricostruzione. In There is no antimemetics division la Fondazione, de facto, fallisce; forse, non è nemmeno la prima volta che lo fa, ma non può averne memoria e ha ripetuto gli stessi errori. In analogia con la realtà, vecchi paradigmi che si perpetrano in analoghe condizioni ambientali, nella speranza che il risultato cambi, sono obbligatoriamente i precursori di un disastro già scritto nella storia dell’umanità. Per sperare di limitare i danni a fronte di un collasso inevitabile, è necessario sviluppare da ora nuove idee capaci di soppiantare le convinzioni del passato, rendendosi conto di come certi meccanismi, al contrario di quello che si vuol far credere, non siano irreversibili. SCP-3125 si manifesta in tutta la sua alterante alienità distruggendo ogni luogo e ogni mente che tocca, ma ha un punto debole: il suo memeplesso è composto in parte dall’idea stessa che SCP-3125 sia inevitabile e indistruttibile. Una nuova idea, un’idea migliore e più potente si rivelerà in grado di fermare la sua opera di distruzione, contenendo i danni e permettendo ad una parte della civiltà umana di sopravvivere, anche se nulla sarà davvero come prima, nel bene e nel male.
Fulvio Giachino
3.
I know, better than anyone else, that there are no heroes coming to save us. There are no good Epics. None of them protect us. Power corrupts, and absolute power corrupts absolutely.
Steelheart
A un certo punto, negli anni ’90 – in una timeline non del tutto distinta dalla nostra, ma alternativa a essa – fa la sua comparsa nel cielo terrestre Calamity, un’anomalia astronomica simile a una piccola stella rossa pulsante, così vicina alla superficie da apparire grande quasi quanto il sole, seppur meno splendente. L’arrivo di Calamity coincide con la diffusione, tra la popolazione umana, di poteri più o meno straordinari – ciascuno dei quali, tuttavia, sfida le leggi della fisica: alcuni, divengono in grado di duplicare se stessi conservando la propria massa originaria; altri, di manipolare il fuoco senza che esso si propaghi in modo incontrollato; altri ancora diventano così forti da sollevare un carro armato a mani nude, e così resistenti da non poter essere feriti neppure dall’esplosione di una testata nucleare. Non tutti, però, ricevono in dono da Calamity dei poteri; la maggior parte della popolazione, infatti, non manifesta alcuna particolarità.
Alcuni anni dopo, Calamity risplende ancora nel cielo. Gli “epici” – come vengono chimati gli individui dotati di poteri – aumentano a ritmo stabile: un tasso lento, ma deciso. Tra loro, alcuni cominciano a compiere piccoli crimini, atti di violenza gratuita, gesti immorali o all’apparenza privi di senso. Finché un giorno, a Chicago, Deathpoint – un epico in grado di disintegrare in un istante tutti gli esseri viventi che indica – varca una soglia fino ad allora ritenuta sacra: quella che divide gli epici dal resto dei mortali. Un confine di specie, che prende vita nell’istante stesso in cui Deathpoint fa il suo ingresso in una banca e comincia a disintegrare chiunque gli si pari dinanzi, solo perché può farlo. Quello stesso giorno, in quella banca, viene raggiunto un punto di collasso: Deathpoint viene fermato e ucciso da un epico più potente, Steelheart – una sorta di Superman capace di tramutare tutto la materia inorganica che lo circonda in acciaio. Non si tratta, tuttavia, di un’impresa eroica, ma di una pubblica dimostrazione di forza. Steelheart massacra tutti (o, meglio, quasi tutti) quelli che si trovano nella banca, fa crollare il palazzo e tramuta l’intera Chicago in un’arida distesa di acciaio, dichiarandosi sovrano assoluto di Newcago. Ha così inizio l’era del suprematismo epico, un nuovo ordine politico-naturale in cui pochi individui, dotati di poteri sovrannaturali, assumono il controllo del mondo – organizzandosi in un sistema di caste che, a sua volta, divide i “piccoli epici” dagli epici, e questi ultimi dagli “alti epici”.

In un primo momento, i legislatori sono costretti a dichiarare gli epici individui al di sopra della legge, nella speranza di placarne la furia e le rivendicazioni. Ma, ben presto, la guerra tra umani ed epici dilania gli Stati Uniti d’America, alterandone il territorio, gli ecosistemi e la geografia politica fino all’irriconoscibile. Un conflitto che si conclude con la capitolazione della specie umana.
Decenni dopo, gli unici a opporsi ai nuovi dominatori sono gli “eliminatori”, semplici esseri umani – guerriglieri o, forse, terroristi – specializzati nella neutralizzazione ed eliminazione degli epici più pericolosi e crudeli. A loro spetterà il compito (il mandato storico?) di affrontare il più grande di tutti: Steelheart.
Sanderson presenta al lettore un’alternativa ai “super” già visti in The Boys: non uno stardom hollywoodiano – fatto di pubblicità, propaganda, interessi economici, particolarismi, vizi privati, perversioni e infantilismo cronico – ma una parabola sulla natura umana, sul potere e sulla capacità umana di ricominciare da capo, persino nel bel mezzo di un deserto al tempo stesso fisico, mentale e morale.
Steelheart/Firefight/Calamity (The Reckoners Trilogy) – Brandon Sanderson, Random House 2013, Fanucci 2014
Claudio Kulesko
4.
Ok, è un antenato della climate fiction che risale a ben sessant’anni fa… Conserva, però, tutto il suo fascino: innanzitutto, viene dalla penna di J. G. Ballard e già questo potrebbe bastare; inoltre, il racconto delle radiazioni solari che portano allo scioglimento delle calotte polari e al conseguente innalzamento delle acque è inserito nella classica scena psicotica ballardiana.

Sessant’anni prima dello scontro ideologico, non privo di possibili derive psicotiche (o che si fingono tali, con opportunismo), sul cosiddetto “cambiamento climatico” (per capirci), è un’opera di narrativa e non un saggio o un pamphlet a mettere il lettore, tra fascinazione e repulsione, nella condizione di trovare le proprie risposte e le proprie strategie.
Lorenzo Mari
5.
How High We Go in the Dark di Sequoia Nagamatsu
L’incipit è dieci anni nel futuro e 30000 anni sotto un’eulogia. È il funerale dell’Olocene e la fine non è una questione di attualità. La vittima è incarnata in una mummia dei ghiacci, sorella della principessa dell’Altai. Questa aveva per tatuaggio una primordiale chimera di cervo, alberi, fiori e avvoltoi, il primo segno-racconto del ciclo di vita e morte che tutto raccorda. Il primo seme dell’albero di tutte le storie. La mummia del libro, battezzata Annie, ha nei suoi tessuti cerebrali, che il riscaldamento globale libera dal permafrost, un patogeno preistorico mortale. L’eulogia dei vivi non placa il cadavere dei passati. I protocolli di sicurezza non sono sufficienti. I semi della pandemia fioriscono. La Peste Artica si diffonde per il mondo. I seguenti dodici capitoli sono dodici frammenti spaziotemporali ed economico-sociali diversi del ciclo di sviluppo della Peste, dalla scoperta e diffusione, al picco più tragico, all’endemia del trauma incurabile. Dodici cartelle cliniche del continuum di impatti sull’umanità. Che reagisce cercando nuove strade: ingegneria genetica, viaggi spaziali 6000 anni nel futuro, nuove tecnologie culturali di lutto, memoria e negazione, cani robot come piattaforme di comunicazione empatica, orizzonti degli eventi aperti nel cervello… La moltiplicazione dei personaggi e degli scenari lungo un ampio e discontinuo arco temporale, è il tentativo di seguire una storia più grande, fiori di fuoco che cercano di rendere percepibile la nebula iperoggettuale. Che resta incomprensibile, ma entro il cui sfondo i frammenti iniziano piano piano a collegarsi in costellazioni. I personaggi ritornano, situazioni si evolvono e connettono in relazioni, alcuni dettagli di alcuni sfondi diventano in altri tempi e in altri luoghi il cuore della scena. Ogni frammento è un haiku nel tempo che osserviamo crescere da un punto di vista opaco e incrinato. Non sempre solo umano. La storia è nei semi di futuro piantati, negli intrecci di possibilità che gemmano oltre ogni singolo frammento. L’ultimo capitolo ripete lo stesso movimento lungo un tempo profondo condensandolo in un’unica iperumana esperienza. Portare il seme dentro di sé. “Possibility is more than what runs through our veins, little one”

Francesco Mattioni
6.
«The decisive move is still to come»
È possibile scrivere un romanzo a tesi, con un esiguo filo narrativo, senza introspezione psicologica, anzi senza nemmeno dei veri e propri protagonisti, eppure appassionante, decisivo, indispensabile? La risposta è sì. Lo fa Kim Stanley Robison con il suo ultimo romanzo di hard science fiction, The Ministry for the Future recentemente tradotto in italiano. Ambientato in un futuro molto prossimo, il romanzo, a un primo livello narrativo, interseca le vicende di Frank May, un operatore umanitario americano traumatizzato da un’ondata di calore devastante in India (è questa la scena sconvolgente di apertura, dove la coincidenza tra la crisi energetica e la temperatura a bulbo umido di 35 °C, che segna il limite della sopravvivenza umana anche all’ombra e con acqua illimitata, causa la morte immediata di milioni di persone) con quelle di Mary Murphy, ex ministro degli Esteri irlandese, ora a capo del Ministero del Futuro, un organismo creato in base all’Accordo di Parigi, la cui missione è quella di rappresentare in senso politico le generazioni future. Chi studia i cambiamenti climatici sa bene che uno dei problemi più gravi e paralizzanti della crisi ecologica consiste nella “tragedia dell’orizzonte temporale”. La formula è tutt’altro che astratta. Rimanda infatti, molto semplicemente, all’incuria per il futuro. Il nostro stile di vita, che chiamiamo per abitudine “moderno”, ha dei costi ambientali che non sono inclusi nei prezzi che paghiamo, ma che saranno sostenuti invece dalle persone future, alle quali consegniamo in malafede il fardello di risolvere, con le loro presunte tecnologie, ricchezze e capacità superiori alle nostre, i danni per lo più irreparabili che stiamo procurando alla biosfera. Molti di questi sono già irreversibili ma si può forse ancora provare a scongiurare un’enorme estinzione di massa. Da qui l’urgenza di trovare un organo che abbia come compito precipuo di rappresentare politicamente il futuro di tutti, umani e non umani insieme.
Accanto a questo, The Ministry for the Future include e assembla centinaia di altre idee e sforzi simultanei: misure economiche, finanziarie, monetarie, agricole, militari, di ingegneria e geoingegneria, nel settore dei trasporti, della gestione forestale, delle acque, dell’aria, della fauna, ecc. La gran parte delle strategie menzionate nel romanzo esistono già nel nostro mondo, ma soltanto su scala locale e spesso periferica, compreso il Ministero del Futuro, recentemente istituito dal governo scozzese. L’opera è ambiziosa e per certi aspetti davvero grandiosa nel suo sforzo di costruire un romanzo totale, cioè planetario e radicalmente polifonico; un romanzo che attinge a quasi tutti i campi disciplinari, in cui convergono decine di forme testuali (saggi, poemi in prosa, dialoghi, drammi, interviste radiofoniche, appunti di riunioni), che dispiega praticamente tutti i tipi di narratori identificati dalla narratologia (possibile ; impossibile, diegetico; extradiegetico, in prima; terza persona, rispettivamente al singolare o al plurale), mettendo in scena, accanto ai due menzionati in apertura, decine e decine di personaggi umani, la maggior parte dei quali anonimi, e non umani (tra cui un fotone e un atomo di carbonio che prendono la parola per rivolgere degli indovinelli al lettore). Le voci narranti sono così numerose e le loro vicende così estemporanee (molte di esse, come si diceva, rimangono anonime e fanno una sola comparsa in uno dei 106 capitoli, brevi o brevissimi) che al lettore non è data la possibilità di immergersi appieno nelle loro vite. È forse questa una debolezza del romanzo?

Personalmente credo si tratti di uno dei suoi punti di forza. Integrando una serie di esistenze a prima vista lontane e indipendenti le une dalle altre all’interno di un’architettura più ampia, il romanzo ci fa percepire “l’esistenza tangibile di una società fatta di estranei, tutti però dipendenti gli uni dagli altri per sopravvivere” (Robinson 2020). Kim Stanley Robinson ha trovato un modo molto efficace non soltanto per esprimere narrativamente il senso di appartenenza a un “noi” ampio e il più possibile inclusivo, ma anche l’effetto incontrollabile, eppure reale, che le nostre azioni, anche quelle più triviali e quotidiane, possono avere a migliaia di chilometri di distanza.
Sono inoltre convinta che il compito del lettore in questo universo narrativo non sia tanto; interpretazione intesa come decodifica testuale. Non si tratta di leggere o eventualmente rileggere il testo (cosa comunque consigliata) alla ricerca di significati nascosti. La lettura non deve tornare solo su se stessa, ma uscire da sé, prolungarsi e completarsi in qualcosa d’altro, in un’altra attività, per esempio in un’operazione di verifica delle informazioni o di ricerca scientifica. Il romanzo, del resto, prevede esplicitamente questo tipo di esercizi direttamente rivolti al lettore: «Arranging this situation is left as an exercise for the reader»
«We leave the proof of this as an exercise for the reader».
È forse il caso di chiedersi se la postura tipica dell’interprete, tesa a decifrare i testi e/o a smascherarne le contraddizioni, sia la migliore per abbordare le narrazioni emergenti dell’Antropocene: invece di leggere i testi “against the grain”, proviamo a leggerli “with the grain” e ad abbracciare le loro affordances.
Perché leggere The Ministry for the Future di Kim Stanley Robinson
Chiara Mengozzi
7.
“Io ho smesso di leggere e di scrivere. “

M. M.
8.
“Penso che siano in arrivo tempi duri nei quali avremo bisogno delle voci di scrittori capaci di vedere alternative al modo in cui viviamo ora; capaci di vedere al di là della nostra società stretta nella morsa della paura e della sua tecnologica ossessionante, [vedere] altri modi di essere e persino immaginare alcune concrete basi per la speranza. Abbiamo bisogno di scrittori capaci di ricordare la libertà. Poeti, visionari, realisti di una realtà più grande.” – così Ursula K. Le Guin, nel ricevere il prestigioso premio della National Book Foundation (DCAL) 2014.
Quei tempi sono qui e abbiamo bisogno di Ursula K. Le Guin. Ad esempio, del suo La mano sinistra del buio, nella nuova traduzione di Chiara Reali, pubblicata da Mondadori a ottobre 2021.
Bloccati in un eterno presente diagnostico – che l’Antropocene manifesto sta smascherando per quello che è, un maelström di collisioni cognitive – ci accorgiamo che quello che credevamo passato non è che la litania della modernità e che il futuro, volendo smettere i panni di questo presentismo fasullo, non è immaginabile. E allora bisogna spingersi più in là in tutti i modi possibili, arrischiarsi in posti straordinariamente Altri. Possiamo inoltrarci a piedi nella Selva Lacandona o nella Terra di Baffin, nei mondi nativi ai bordi del neoliberismo, oppure possiamo farci accompagnare da figure psicopompe come quella di Le Guin, esploratrice di etnografie e mappatrice di cosmogonie, maestra di mitopoiesi e fabulazione speculativa.

Qualcuno ha capito che per guardare a – e vedersi in – una faglia di mutamenti assoluti, e riacquisire la capacità di pre-figurare il vivente umano in nuove ecologie, è indispensabile riallacciare quel bandolo ormai sottilissimo e sfilacciato che ci riporta alla nostra storia di specie, non importa se a Lascaux o su Plutone. Quel percorso antropologico, quel re-incontrarsi, è in realtà una topografia ipogea, un’infiltrazione alle radici di quella che sembra l’unica domanda cogente: che storie ci servono ora, per pensarci a vivere bene e morire bene in un pianeta che viaggia troppo rapidamente verso l’irriconoscibilità?
Un pianeta alieno, Gethen detto Inverno – ma potrebbe essere la nostra Terra mutante. Un clima estremo, neve e ghiacci eterni – ma potrebbero essere foreste bruciate dal fuoco o dall’acqua salata del mare. Gente in viaggio in remoti brandelli di geografie vivibili in un mondo ostinatamente bianco, che in postfazione Nicoletta Vallorani associa a quello “della balena che Achab non riesce a domare”.
Lo sforzo di accogliere, da stranieri, il protagonismo sensorio del paesaggio e le fogge dei suoi abitanti: “il mio compito è disimparare”, dice Genly Ai, Inviato dell’Ecumene e voce narrante di questo racconto-report. La necessità di creare basi di diplomazia per trovare alleanze e sostegno, reciproco apprendimento e prosperità. L’incontro con umani differenti nella corporeità, nella psiche, nelle culture, estranei e disturbanti, che eludono le dicotomie, difficili da comprendere senza cadere nei propri codici, eppure indispensabili nel consesso dei mondi, per aumentarne complessità e intelligenza. L’antieroismo trasposto nella fluidità dei generi sessuali, nel rifiuto di muovere guerre.
L’ibridità delicata, intrinseca nella stessa narra-forma che Le Guin ha saputo raggiungere, sembra dire che per fugare la distopia della violenza e dello sfruttamento – dentro ecologie stravolte nei connotati ambientali, sociali, politici come quelle che viviamo – per transitare in relazioni di cooperazione e kinship tra umani e tra umani e alterità, forse non abbiamo bisogno di diventare post- o trans-umani. Forse basta immaginare in che modo riumanizzarci, su Inverno come sulla Terra.
Rebecca Rovoletto
9.
In principio fu The Source, podcast di un’attualità oggi sinistra che racconta di un’Italia futura afflitta da una crisi idrica senza precedenti. Nonostante il taglio piuttosto ironico, il problema sollevato è importante e lo scenario niente affatto rassicurante. Il gruppo CAP, che si occupa di distribuzione idrica nella zona di Milano, ha collaborato alla realizzazione per poi rilanciare, con la collaborazione di Libromania, divisione De Agostini, con un concorso letterario legato a The Source.
Il risultato è The Source – Scrivere sull’acqua, una raccolta di dodici short stories che raccontano il futuro, il cambiamento climatico e soprattutto il nostro rapporto con l’acqua. Dodici scenari ambientati negli anni a venire che raccontano cosa ne sarà dell’acqua sul nostro pianeta e, soprattutto, cosa ne sarà di noi e della società in cui viviamo. Le parole chiave importanti non mancano. Futuro. Sopravvivenza. Società.

Il livello dei racconti è buono, la qualità c’è così come abbondano le domande corrette, gli scenari interessanti e gli strumenti per immaginare rappresentare una serie di futuri possibili di cui abbiamo bisogno qui e ora, con urgenza sempre maggiore. Il fatto poi che l’impulso venga da un’istituzione che si occupa proprio di acqua e che ha il polso della situazione è un valore aggiunto non da poco, perché avvicina la letteratura alla realtà dei fatti in quel modo sano che dovrebbe essere la norma.
THE SOURCE – SCRIVERE SULL’ACQUA, AA.VV., 2022, DeAgostini – Libromania, in collaborazione con Gruppo CAP
Stefano Tevini
10.
Perché anche il collasso va vissuto tenendo conto di tutto ciò che è stato. Tracce è un manuale pratico di tessitura, una guida che ciascuno può utilizzare per ramment(d)are (re-membering) e ricucire i resti, spesso dispersi, riconciliando memorie plurali. Mosaico narrativo e saggistico di racconti e ricordi, ibrido scrittorio per una nuova epoca.

Lauret Edith Savoy, Tracce. Memoria, storia e razza nel paesaggio americano, Edizioni Black Coffee, 2022
Elisa Veronesi
11.
È l’Antropocene manifesto ovvero quello che si vede dalla finestra, l’appena famoso giardino del vicino in fiamme. Tocca ripassare, leggere bene una di quelle menti che immettono in un libro prospettiva, intelligenza, utilità. Devo leggere Pirocene, appena uscito con Codice. Devo leggere Underland di McFarlane perché è, sembra, simile a un libro che deve uscire ed è un tipo di libro che non avevo mai visto. Questi per dopo. Adesso rielaboro, rileggo The Knowledge.

Prossimità alle cose, tare nell’immaginario dell’apocalisse, periodi di grazia, comunità, comunità, comunità necessaria, inevitabile, il tempo, la programmazione. Le risate hanno lasciato il posto alla goffaggine, alla confusione. I pericoli si impilano proprio come scatole dimenticate. Non deve essere così e poteva essere altro. Forse c’è ancora tempo.
Antonio Vena
L’ha ripubblicato su Downtobaker.
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