Algoritmi viventi e comunità zombi

La copertina di Cordyceps – il fumetto di Stefano Tevini e Davide Garota pubblicato da Inkiostro – sembra l’apertura spagnola a scacchi, un’architettura di mosse codificate all’inizio del XVI secolo che ancora oggi è considerata una dimostrazione di conoscenza profonda del gioco. È nota anche come tortura spagnola, da un lato per l’ardua maestria che richiede la sua applicazione e dall’altro per l’inesorabilità del suo esito. Il mostro verde in trench che nella notte metropolitana raggiunge in un vicolo la giovane vittima, bella, indifesa e senza più speranze, è un grande classico Pulp-Horror. Ma non è tutto. Una materia verdognola emana dal selciato spore strane, allo stesso modo della testa deforme del mostro che incombe, chiudendo la ragazza a terra in una morsa di terrore. Qui siamo al twist della contemporaneità: il pericolo imminente è mortale, sì, ma è solo il sintomo di un baratro purtroppo molto più ampio. In cui siamo già caduti senza, forse, accorgercene. È l’Antropocene baby. Qualcuno ti aveva avvertita, umanità western, ma tu hai voluto comunque sbatterci contro il muso. Gli occhi sbarrati di lei, infatti, non scrutano il mostro alle spalle. Sono fissi davanti a sé. Forse osservano la danza delle spore. Forse fissano noi. I lettori. Cercano aiuto?

Lanciano un avvertimento?

In ogni caso, siamo già invischiati dentro la partita aperta dai due autori con grande perizia. Dobbiamo giocare. Ne va della nostra vita…

Cosa è il mostro? Cosa sono quelle spore? Posso infettarmi anche io sfogliando il fumetto?!

Cordyceps è un genere di funghi parassiti che attacca artropodi e aracnidi. Diffonde spore che germinano dentro i corpi delle vittime, producendo sostanze psicotrope per plasmarne il comportamento, costringendole a raggiungere un luogo elevato. Mentre lo sfrutta per le sue capacità biodinamiche, il fungo riempie l’insetto o il ragno della sua materia altra. Della sua volontà aliena. Lo costringe a raggiungere la sommità di un ramo o la cima di uno stelo d’erba. Da lì le ife perforano la chitina dell’insetto-macchina così che i corpi fruttiferi possano rilasciare nuove spore, portate dal vento verso la colonizzazione di nuovi agenti-zombi. Fin qui tutto a posto per noi umani. Ma il Cordyceps si diffonde per moltiplicare le sue possibilità di adattamento a un ambiente che cambia. Perseverare in una strategia di sopravvivenza finora vincente non è l’unica arma a disposizione di una specie. C’è anche lo spillover. Il salto di specie. Quella innovazione genetica che permette di espandere l’orizzonte della nicchia ecologica, allargando il bacino delle possibili vittime. Lo conosciamo bene, purtroppo. È quanto accaduto con il SARS-CoV, con il virus H1N1 (influenza suina) o con l’Ebola.

La prima pagina del fumetto si apre con una strana precipitazione su New York. È l’inizio di una pandemia globale che non può non richiamare alla memoria l’evento Covid. Questa però non è una storia sul Covid, né intende speculare su di esso. Gli autori hanno concepito e sviluppato la loro storia prima dell’inizio della pandemia e, pur essendo il fumetto pronto, ne hanno ritardato l’uscita. Per non cavalcare l’onda dell’attualità. La loro storia ha un altro tempo. Una scelta e un tempo che sono tematizzati nella storia stessa.

Mentre la folla è impegnata a fare selfie – emblematica la mamma che fotografa il fenomeno lasciando in sospeso la domanda della figlia sulla natura del fenomeno stesso – e le ipotesi si accavallano, un gruppo di ecoterroristi estinzionisti rivela di aver creato nei propri laboratori l’infezione fungina, per eliminare dalla Terra il parassita più pericoloso: l’uomo. Il gruppo si chiama Eden e il suo obiettivo è regalare un futuro al pianeta ricalibrando a forza la specie ribelle altamente nociva entro il ciclo dell’ecosistema. “Un destino clemente, nonostante i crimini commessi contro la natura”.

Mentre infografiche mostrano l’evolvere della pandemia nelle regioni continentali e il numero dei contagi e dei morti aumenta inesorabile, a due mesi dall’attacco governi e multinazionali farmaceutiche si affannano senza successo nella disperata ricerca di un antidoto. Il protagonista della storia, Florent Deforge, un brillante biologo, lavora per una Big Pharma con sede a Parigi, la Phytogen. Come la Sanofi, il colosso farmaceutico francese, decimo al mondo, fondato nel 1928, il cui slogan è «Empowering Life». Gli obiettivi del direttore di Florent sono chiari: non la scoperta della salvezza per l’umanità, ma la monetizzazione del brevetto per il prodotto più richiesto dal mercato. La casa farmaceutica, la dirigente Buissons, i finanziatori misteriosi che premono con ogni mezzo affinché Florent arrivi all’antidoto rappresentano il tempo accelerato dalle esigenze del Capitalismo che piega la ricerca stessa al suo diktat: il profitto a ogni costo. Anche – soprattutto – sul ciglio dell’estinzione di specie. Florent è inevitabilmente parte di questo meccanismo. La ricerca – di un moltiplicatore di profitto più che di un avanzamento della conoscenza – lo emargina da ogni altra cosa: il protagonista non sembra avere una vita privata, interessi o amicizie al di fuori del proprio lavoro. La sua esistenza è circoscritta all’ufficio e al laboratorio installato nel suo appartamento. Nonostante il lavoro di ricerca presupporrebbe collaborazione e condivisione di dati, ipotesi, strumenti, esperimenti per sondare molteplici possibilità e pensare insieme soluzioni, gli obiettivi aziendali impongono al contrario compartimentazione, segretezza, conflitto, spionaggio. Non solo nei confronti dei competitors internazionali – “i Cinesi e gli Americani” – ma anche nei confronti degli stessi colleghi interni. Florent infatti vive isolato anche al lavoro: non ha contatti umani e rifiuta qualsiasi interazione non necessaria. Nel suo laboratorio-dormitorio vive solo e passa le notti a lavorare, sperimentando antidoti possibili sulla propria scorta di cavie, che chiama con i nomi di dittatori. “Per rendere più accettabile l’idea di torturarli”, si ripete ogni notte da solo mentre gli ultimi squittii delle cavie lo tormentano in un tempo di inutili ripetizioni senza pietà e senza riposo… Forse inconsciamente sente, nonostante gli sforzi “per ridurre l’impatto emotivo dei suoi esperimenti”, di non essere così diverso dal suo collega Mengele? Uccidere esseri umani e uccidere esseri cavidi è qualitativamente diverso?

Girare senza una propria meta in uno stato catatonico al solo scopo di diffondere spore contagiose e rimbalzare da casa all’ufficio senza contatti umani significativi solo per far funzionare un sistema economico ecovoro sono fasi equivalenti della stessa marcescenza zombi?

Florent sembra decisamente organico al complesso tecnoscientifico capitalista e per riuscire a mantenere ritmi ed efficienza inumani da solerte ingranaggio è costretto ad assumere droghe e a riempirsi l’organismo di stimolanti psicoattivi. Per muovere il corpo e la mente e tutta la sua stessa esistenza quotidiana come una macchina biologica verso il punto più alto della sua ricerca eterodiretta. Verso il tesoro promesso dall’antidoto.

Prima di essere cooptato nell’industria della ricerca per il profitto, Florent svolgeva davvero ricerca scientifica, guadagnandosi il premio dell’Académie des Sciences per il suo contributo decisivo allo sviluppo del sapere. In particolare, Florent ha scoperto il funzionamento di una sorta di “algoritmo vivente”, il Physarum Polycephalum, una muffa melmosa unicellulare in grado di memorizzare e processare informazioni. “È possibile dare segni di intelligenza nonostante si sia privi di cervello”. La ricerca libera di Florent ha aperto lo sguardo non solo su altre specie, ma anche sull’immagine che abbiamo costruito della nostra, di specie. La battuta scortese alla collega e alla sua mancanza di intelligenza rivela l’arroganza di Florent, ma suggerisce anche la domanda su cosa possa definirsi intelligenza. Il Physarum è intelligente? Florent e la collega sono intelligenti? Gli zombi creati dal Cordyceps? Il Cordyceps stesso? E se la civiltà è un segno dell’intelligenza, altre intelligenze, intelligenze diverse da quella umana, che segni – che civiltà – possono tracciare?

Le domande su intelligenze e ricerche e forme dell’organizzazione di moltitudini complesse a vari livelli di scala e di specie sono temi importanti del fumetto di Garota e Tevini. Temi decisivi. Il parassita, lo psicotropo, le periferiche biologiche, gli equilibri simbiotici, i linguaggi e la comunità sono metafore invasive e mutagene.

Florent scappa da un acquazzone verso la stazione della metro che lo riporterà a casa (sfidando quotidianamente un luogo ad alto tasso di addensamento di possibili vettori del fungo, in un delirio di onnipotenza o in un desiderio di auto annientamento, o entrambi). L’accesso al labirinto ipogeo è però presidiato da un cane che impedisce il passaggio. Anche un ragazzo e una ragazza, violenti guardiani di soglie metropolitane, insultano e picchiano “probabilmente il più grande micologo di tutti i tempi”, mentre il molosso defeca la sua risposta alla domanda fatidica che incombe su Florent:

“Quanto vali veramente?”

Fradicio, umiliato e inceppato nella sua ricerca, Florent è accolto da due anziane sorelle afro-francesi poliglotte nel loro negozio accanto alle scale per la metro, il Babylon Bazar. Il negozio è ricco di oggetti d’arte e artigianato africani, maschere, idoli, lampade, tamburi, arazzi, artefatti zoomorfi. Le due sorelle accolgono e rassicurano Florent parlando due lingue: “Qui al Babylon ci prendiamo cura delle persone”, “You’re welcome, yeah”. L’etica dell’accoglienza e dell’ascolto come un’oasi imprevista nel deserto quotidiano di Florent. Un miraggio?

Le due sorelle sanno che è sempre di corsa. Sanno che non si è mai chiesto davvero chi sia. Gli offrono una tisana. Florent riconosce solo alcuni sapori, alcuni ingredienti. “Sweet dreams tea”. Tra la Torre e la Caverna Florent ha fatto il suo incontro con la Fonte. Una sapienza altra spuntata tra gli arrondissement come un fungo tra il cemento. Tornato a casa, per la prima notte da chissà quanto tempo, Florent non uccide cavie. Dorme. E sogna di essere un cavaliere errante in un paesaggio scabro, pietroso, desolato e tortuoso come il Cavaliere del Durer, con la Morte e il Diavolo invisibili come virus o allucinazioni. C’è la spada nel tronco di quercia. C’è il drago da affrontare. Florent sa di essere in un sogno. Il suo sogno? Vince il mostro e si risveglia raggiante. Gli intrighi dello spionaggio industriale però si stringono intorno a lui e alla madre che vive in campagna. L’impresa nel mondo della veglia è appena iniziata…

Florent inizia ad assumere la tisana del sogno che ribalta le sue abitudini tossiche insegnando di nuovo al suo corpo a riposare la notte. La mente però continua a sperimentare, anche se con mezzi nuovi. Le esperienze oniriche lo conducono lungo nuove direttrici di ricerca. Da un acquario a un palazzo-giardino dove incontra una donna-magistra: “Tu non sai niente. Devi imparare tutto”. Florent ora trascura il lavoro in ufficio. È invischiato in quella che Tyson Yunkaporta, intagliatore di utensili e professore universitario Bama di Melbourne, chiama increase ceremonyun potenziamento intenzionale della rete di connessioni tra persone – bama – e luoghi, tra antenati e mondo più-che-umano, un’architettura vivente di miceli invisibili in grado di attivare e sensibilizzare connessioni tra studiosi, e tra studiosi e (s)oggetti di studio. Una modalità di ricerca alternativa al modello fatto di pressioni e ricatti agito dalla compagnia farmaceutica rappresentata dalla Buissons e dai suoi misteriosi finanziatori. Un pensare che è anche rito. Una ricerca nativa etica, diffusa ed ecoconsapevole che procede per stadi di auto-riflessione (noho puku), connessione (whanaungatanga) e custodia (kaitiakitanga), mappando i dati attraverso narrazioni culturalmente rilevanti, cercando con umiltà e rispetto dei limiti e delle alterità di entrare in contatto alla pari con il complesso sistema biosferico del pianeta. Non si tratta di osservare, dis-cernere e dominare. Ma di attraversare, vivere e con-templare come l’antico augure che osservava nel cielo il volo degli uccelli per comprendere il disegno terrestre. Osservando uno stormo Florent definisce “idioti” i suoi colleghi che minimizzano il pericolo rappresentato dal Cordyceps. Un altro volo di colombe accompagna le riflessioni di Florent sull’uniformarsi alla massa e sull’imprevedibilità della catastrofe. Sognando la libertà assoluta si tuffa nell’acqua come volando egli stesso come un uccello. E mentre fa l’amore con la collega è l’automobile a volare nel cielo. Un altro stormo vola sopra il giardino onirico dell’Eden così come nel cielo della Normandia. Segni non-umani di volontà e desideri e complesse dinamiche planetarie più antiche della nostra specie che non è saggio ignorare. Che invitano a com-partecipare. Scienza yoga per la Terra, parafrasando Gary Snyder.

“Gli scienziati dicono che le spore influenzano l’attività cerebrale portandola a uno stato di calma e serenità. Una specie di nirvana del cazzo!”.

Intanto Eden utilizza le spore come armi di neo-terraformazione. Gli agenti di Eden indossano maschere di Oni giapponesi, spiriti che da sempre incarnano la forza invisibile, incontrollabile e vendicativa della natura. Nel mito e nel folklore nipponici gli Oni scatenano gli elementi naturali e le pestilenze contro individui, famiglie o interi villaggi colpevoli di trasgressioni contro l’equilibrio del mondo. Nel 1995 gli adepti della setta apocalittica di Aum Shinrikyo, indossano maschere antigas e mascherine chirurgiche per diffondere sarin nella metropolitana di Tokyo. Un agente di Eden cavalca un autobus spargendo spore di Cordyceps nel traffico di Parigi. Azioni simili avvengono ovunque. Le reazioni, a livello globale, vanno dal panico, alla disperazione, all’assuefazione, all’acquiescenza. Alcuni ragazzi giapponesi si fanno infettare volontariamente. Alcuni colleghi di Florent iniziano a perdere le speranze di riuscire a debellare il Cordyceps.

Le spore del fungo sono percepite e utilizzate in modo diverso. Scatenano risposte diverse. Costituiscono soglie di esperienza diverse a seconda delle persone e dei contesti con cui entrano in contatto. Non discriminano. Il loro motore primo è entrare in contatto con tutto, intercettare la varietà esterna per innescare la molteplicità interna. Anche le tecnoscienze sono un po’ così. Lo afferma Yuk Hui nel suo Cosmotecnica. Lo ribadiscono numerosi ricercatori nativi provenienti da territori diversi, dall’America settentrionale all’America meridionale, fino all’Australia. La scienza e la tecnologia sono strumenti poietico-cognitivi che partoriscono cosmogonie. Non esiste una sola scienza, né una sola tecnica. Perché l’origine è un processo che non finisce mai. C’è una cosmotecnica occidentale e c’è una cosmotecnica orientale, una cosmotecnica del passato e una cosmotecnica della contemporaneità, e ci sono anche cosmotecniche native di specifici eco-mindscape. Non c’è una cosmotecnica superiore alle altre – anche se una in particolare sta mostrando criticità apocalittiche – ma una nebulosa di strumenti per immaginare e costruire futuri che come spore si diffondono alla ricerca di ospiti fertili di metamorfosi e sopravvivenza. Anche Florent inizia a ondeggiare tra due scienze diverse.

“La muffa è l’anticorpo che spazzerà la terra dal virus umanità”, dice alla nuova collega che lo richiama alle proprie responsabilità. Se le “multinazionali totalitariste hanno ingaggiato una battaglia sterminatrice nei confronti della vita”, chi partecipa alla battaglia seguendo le loro indicazioni ripercorre scelte e colpe di soldati e gerarchi nazisti, gli rinfaccia la nuova collega.

Florent muove i primi passi in una dimensione nuova. O dimenticata… Un tempo diverso. Non più solo scandito dalla routine abituale del lavoro. Un tempo duplice che alterna le scene accelerate di un thriller antropocenico nel nostro presente a venire a scene assolute di epifanie oniriche in cui il tempo sembra sospendersi. Una sorta di Tenet interiore, in cui è possibile rispondere agli attacchi del futuro agonizzante sprofondando nel respiro ancestrale dei tempi del sogno. Questo movimento nel tempo è confermato dalla necessità di Florent di tornare alle sue radici, al paese in cui è nato, alla madre. Emblematica l’immagine dello smartphone come cordone ombelicale che non restituisce più la voce della genitrice. Florent deve tornare alla propria Fonte. Per cercare una risposta possibile alla domanda postagli dalla collega:

“Ti sembra che l’umanità sia felice?”

Florent aveva iniziato le sue ricerche partendo dai sapori dei formaggi della Normandia – una felicità in forma commestibile, una felicità vitale – inseguendo le delizie prodotte dalle muffe, per scoprire poi i funghi che dischiudono le profondità della percezione: “Tutte le meraviglie possibili e immaginabili sono qui dentro [il cervello]. È questa la vera frontiera inesplorata”. Nel cui orizzonte si mescolano sempre più la veglia e il sogno in un nuovo ibrido sempre meno distinguibile. Cosa avviene nel sogno? Cosa avviene nella veglia? Cosa distingue le due dimensioni della coscienza?

Le maschere di Eden compaiono in entrambi. Nel sogno e nella veglia. Come una trottola dell’Apocalisse che gira tra epifania ed eskhatos?

E l’antidoto al Cordyceps dove può essere concepito? Qual è il laboratorio che può partorire la cura?

Scendono ancora spore intanto su Parigi e sul resto del mondo, come la neve che scende a Dublino: “La sua anima si dissolse lentamente nel sonno, mentre ascoltava la neve cadere lieve su tutto l’universo, come la discesa della loro ultima fine, su tutti i vivi e su tutti i morti.” Una lenta pioggia di materia che ipnotizza gli sguardi e i tempi in uno scarto casuale che valica ogni demarcazione tra i vivi e i morti, tra l’organico e l’inorganico, tra il pensabile e l’inimmaginabile.

Il cane che abbaiava sulla soglia della metro è bianco e si chiama Damballa, come il loa della saggezza e della fertilità della vita che dona conoscenza e saperi occulti. Maya Deren riporta che il suo corpo serpentiforme non solo ha creato le stelle e i pianeti nel cielo e le colline e le valli sulla terra, ma rappresenta anche il continuum temporale tra il passato arcaico e le promesse del futuro. Ed è forse proprio questa la composizione biochimica che cerca Florent per curare l’umanità dalla malattia di cui il Cordyceps è solo un sintomo, la sindrome della disarticolazione del tempo nei frammenti del Mercato. “L’essenziale. Quello di cui ognuno ha bisogno” sostituito da un negozio di smartphone.

Florent alla fine comprenderà il linguaggio segreto dei sogni e la formula nascosta della cura, un drago che non è più un mostro da combattere, ma un segno da tracciare e incarnare.

La mente è l’unico posto in cui vale la pena vivere? L’unico posto in cui è possibile essere liberi?

Il Capitalismo è la pandemia perfetta? Come possiamo inventarci una cura che salvi l’umanità?

La società nelle sue varie dimensioni di scala e nelle sue molteplici forme è cancerogena?

Ma la comunità? La specie?

“L’immaginazione è perfetta” o “La natura è perfetta”?

Il fumetto che non dà risposte, ma coltiva domande, è l’allucinogeno lucido di cui abbiamo bisogno per i nostri viaggi alla ricerca del segno che cura. “Per vincere e prendere il posto [dei nostri mostri]”.

Come in L’ultimo sorso del morto, in cui Garota mescola incubo e realtà, qui il disegno in bianco e nero confonde allucinazione e realtà con un tratto irregolare, ruvido, dinamico ed evocativo. Ricorda lo stile di Davide Toffolo e Julien Maffre, ma più pulito e oscuro allo stesso tempo. Una sorta di Linea Chiara dark… perfetta per tatuarsi un Grendel antropocenico sotto la pelle.

I personaggi sono ben caratterizzati e i paesaggi – metropolitani, campestri e onirici – sono precisamente definiti con una stilizzazione che suggerisce anche l’indeterminazione di una profondità di campo mai percepibile in pieno, grazie anche alle inquadrature che variano il punto di vista e quindi la presenza del lettore all’interno delle scene. Una caratteristica completata dall’alternanza di dialoghi e silenzi, catene di azioni e rallentamenti fino all’immobilità che modulano la narrazione per testi e immagini in un flusso molteplice ma sempre organico. Come un ritmo di corpi fruttiferi e spore di segni. Che modificano forme e parole e visioni e volontà. I volti degli “ammuffiti” che diventano sereni humus per funghi emettendo spore e suoni non più umani è una metamorfosi inquietante e potente. Lamelle e vignette, gutter e tubuli, cappelli e balloon. In Il fuoco non ha amici la sofferenza può essere una soglia verso l’illuminazione. Dolore come esperienza aspra dei ritmi e delle leggi della natura. Lì è il mondo floreale a costituire il controcanto alla storia del protagonista. Una sorta di lirica della Terra che ha altre forme e altri tempi rispetto alla narrazione umana. Qui la dimensione altra dell’esperienza e del tempo è costituita dalla rete micetica. I funghi affondano le ife nella carne e nella coscienza, nel passato e nel futuro, nel tempo e nell’immateria dell’Ogniquando, mentre i corpi crescono nel presente dell’Antropocene.

Cordyceps è un fumetto fungino fertile di esperienze per l’immaginazione radicata nella Terra.

Francesco Mattioni

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